martedì, Novembre 12, 2024

Steve Wynn, ogni sera suono quello che mi ispira

In questi giorni alcuni concerti dei Dream Syndicate stanno per essere annunciati. Verrete anche in Italia?

Sì, al Bloom di Mezzago a fine maggio, il 29. Posso dirti che in questo momento la band suona veramente bene, abbiamo fatto delle date in Spagna lo scorso settembre e mi sentivo come se lievitassi, avevo la sensazione che tutto fosse perfetto. È stato davvero molto eccitante.

Guardando invece indietro, agli inizi dei Dream Syndicate e del Paisley Underground, mi chiedevo se la vostra musica fosse una specie di reazione alla “solita” musica degli anni Ottanta o se semplicemente era nata per suonare quello che volevate senza pensare ad altro…

Erano entrambe le cose. Facevamo musica che volevamo sentire perché nessun altro in quel momento la faceva. Nel 1982 gran parte della musica era terribile, era quasi tutta musica basata sui sintetizzatori, cose come gli A Flock Of Seagulls. Noi eravamo fan della musica che volevano sentire quello che amavano e probabilmente se ci fosse stato qualcuno che suonava quello che ci piaceva, non avremmo formato i Dream Syndicate, non saremmo diventati una band. Quando ho fatto The Days Of Wine And Roses cercavo di fare un disco che potessi suonare ed ascoltare divertendomi, apprezzandolo.

Avevate contatti con le altre scene underground di quel periodo, come l’hardcore o la scena di New York dei Sonic Youth?

Non molti. In tutta l’America allora c’erano scene come la nostra ma ci accorgemmo veramente di tutto quello che stava accadendo solo quando iniziammo ad andare in tour. Quindi solo dopo un po’ ebbi modo di incontrare gente come i R.E.M. o gruppi newyorkesi come i Feelies. Allora non era così facile comunicare e scambiarsi informazioni, prima dell’avvento di Internet, ed entrare in contatto con gli altri non era facile. Leggevi di loro su riviste e fanzine, venivi a sapere che Bob Mould e Paul Westerberg in Minnesota facevano grandi cose, ma avevi veri contatti solo se andavi nella loro città. Ogni scena era un’isola allora.

Qual è la soddisfazione più grande che hai ottenuto nella tua carriera?

Ce ne sono un po’. La prima è il fatto che sono ancora qui. Poi posso dire che mi piacciono tutti i miei dischi, sono felice di tutto ciò che ho fatto. Sembra che la gente sia stata ispirata dalla mia musica, che sia piaciuta a molti che ancora vengono a vedermi suonare. Questo è molto bello.

Se dovessi scegliere una canzone o un album tra tutti quelli che hai realizzato, cosa sceglieresti?

Faccio questa scelta tutte le sere, suono le canzoni che mi piacciono e che più mi ispirano in quel momento. Per esempio in questo tour faccio delle canzoni che non suono così spesso, alcune che non ho mai fatto in veste acustica fino ad oggi, cerco di riscoprire periodi della mia carriera che solitamente non porto sul palco. Per esempio faccio dei brani da un album, Dazzling Display, che non ho praticamente mai suonato dal vivo e che per la prima volta provo a fare ora.

Per finire, una curiosità legata al cinema. Una tua canzone, Amphetamine, era nella colonna sonora di un film per teenager di qualche anno fa, Bandslam. Come ci è arrivata? E cosa pensi dell’esecuzione che fanno i ragazzi protagonisti del film?

Penso che la versione che hanno fatto sia fantastica! Gli attori che vedi nel film suonavano davvero gli strumenti. La canzone è finita nel film perché il regista, Todd Graff, era un fan della mia musica. Voleva usare Amphetamine già nel suo film precedente. Queste sono le cose belle che ti possono succedere quando fai musica lavorando duramente, le cose che accadono che ti danno la possibilità e la forza per andare avanti.

Foto di Francesca Pontiggia

 

Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi, classe 1984, sopravvive alla Brianza velenosa rifugiandosi nella musica. Già che c'è inizia pure a scrivere di concerti e dischi, dapprima in solitaria nella blogosfera, poi approdando a Indie-Eye e su un paio di altri siti.

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