sabato, Aprile 20, 2024

Voci lontane, sempre presenti: Indie-eye intervista Dustin O’Halloran dei Devics

Il 17 Febbraio esce Push The Heart, l’ultimo lavoro di Devics per Bella Union/Cooperative Music/V2, già anticipato dalla pubblicazione di Distant Radio un’ep con 5 tracce, tre delle quali contenute nell’album in uscita. Tre anni di distanza da The Stars of St. Andrea, 10 tracce composte in stato di grazia e molto diverse dalla fissità ipnotica del precedente lavoro. Abbiamo incontrato Dustin O’Halloran negli uffici di V2 Italia, insieme a Sara Lov in versione doppelganger cartonato e fissato con doppio elastico ad un vecchio registratore a cassette. Dustin ci sorride divertito, si assicura che tutto sia a posto, ci invita ad ascoltare e preme Play.

Sara: Ciao, è molto bello essere qui con voi; adoro il vostro paese.

Indie-eye: E’ incredibile, mi sembra un’idea geniale, ciao Sara!

Dustin ride.

Indie-eye: Un buon modo per rompere il ghiaccio, anche perché pensando ad un inizio per la nostra conversazione, mi sono reso contro come Lie to me e come up, il brano di apertura e quello di chiusura del cd, abbiano influenzato la mia memoria a breve termine dopo l’ascolto di Push The Heart, un po’ come se premessero dai margini del cd e ne schiudessero il senso; personalmente trovo che siano perfette in apertura e in chiusura, per varie ragioni….

Dustin: Credo che i brani di apertura e chiusura siano elementi molto importanti in un album; devono restituire una prima impressione, molto forte, e una altrettanto incisiva con la quale abbandoni il cd. Quando abbiamo finito di registrare Push The Heart l’ordine era completamente differente da quello che poi dà la forma definitiva all’album; in un certo senso sembrava che qualcosa non funzionasse perfettamente e abbiamo deciso di continuare a lavorarci sopra. Alla fine abbiamo scritto due nuovi brani; Come up e Salty Sea, cambiato la disposizione e il risultato ci è sembrato migliore.

Indie-eye: Di Lie to me trovo sorprendente la qualità cinematica della tessitura sonora, da una parte la scrittura di Sara che traccia una linea ipnotica ben precisa, e tutt’intorno il paesaggio timbrico materializzato da Piano, Mellotron e Moog; mi piace molto l’uso anti-vintage che riesci ad ottenere da questi strumenti…

Dustin: Si, preferisco utilizzare suoni e strumenti che si riferiscono ad un’estetica specifica, ma a patto di servirmene in modo non appropriato, per ottenere un suono che non appartiene alla loro storia. E’ lo stesso approccio che ho con la chitarra; non ho avuto una formazione rock tradizionale, e in questo senso credo di suonare la chitarra in modo non completamente canonico.

Indie-eye: E’ vero, a un certo punto sembra che emerga il suono distante e spettrale di un Theremin…

Dustin: No, non è un Theremin, è Pall Jenkins che gioca con la sega, ad ogni modo il risultato timbrico è molto simile a quello di un Theremin.

Indie-eye: Sempre a proposito di timbri e suoni defunzionalizzati, in a secret message to you viene introdotto il suono di una macchina da scrivere che guida tutto il percorso del brano; immagino si tratti di un sample che hai utilizzato come idea narrativa; mi piace molto il risultato…

Dustin: La macchina da scrivere è il regalo di un mio amico; inizialmente l’ho accettato perché esteticamente era molto bella, poi ho cominciato ad utilizzarla e scrivendoci ho pensato che la resa ritmica fosse straordinaria. Ne ho creato un sample, ma con l’intenzione di restituire il senso diretto e ritmico della vita di tutti i giorni; questa è l’idea che sta alla base del brano.

Indie-eye
: Nelle note di copertina del brano c’è Pall Jenkins che suona The Object; che diavolo è?!

Dustin: The object è una cosa che dev’essere assolutamente vista e apprezzata con attenzione. L’ha costruito Pall e pubblicheremo un filmato on-line mentre lo suona; è un dispositivo meccanico fatto di metallo, pentole, legno, le gambe di un tavolo. Pall lo suona muovendo i piedi e utilizzando tutto tutto il corpo. E’ un oggetto carico di mistero.

Indie-eye
: Come si è configurata la collaborazione con Pall Jenkins?

Dustin: Siamo amici da molto tempo, ma gli impegni hanno sempre fatto in modo che non ci fosse la possibilità di lavorare insieme. Mentre registravamo Push The Heart ho pensato di chiamarlo, Pall ha uno studio di registrazione costruito all’interno della casa dove vive, e gli ho chiesto se era possibile realizzare alcune tracce da lui. Una scelta felicissima, perché il suo approccio va oltre quello di un semplice tecnico del suono.

Indie-eye
: Mi incuriosiva la scrittura di Push The Heart; in una vecchia intervista avevo letto che The Stars of St. Andrea era stato sviluppato in parte durante le session di registrazione; la sensazione che ho rispetto a Push The Heart è che ci sia dietro una scrittura e una complessità sonora del tutto differente…

Dustin
: Dopo la realizzazione di Stars of St. Andrea abbiamo capito che era molto importante registrare in totale autonomia. Ogni band che lavora in modo indipendente dovrebbe imparare a gestire la registrazione e l’editing della propria musica. Mentre per Stars molti brani sono stati registrati senza modifiche rilevanti rispetto alla fase di scrittura, per Push The Heart ho investito maggiormente nel dispositivo tecnico e soprattutto ho sperimentato una serie di textures e soundscapes in completa solitudine, prendendomi tutto il tempo necessario. Un nuovo modo di lavorare per noi, un processo in continua evoluzione, dove ad una prima fase di sviluppo e composizione, Sara ha elaborato la parola giocando su incastri e interstizi. Push The Heart in questo senso dischiude più livelli; non solo per il processo di elaborazione, ma per il contributo dei musicisti che hanno stratificato il mio lavoro iniziale di ricerca e sperimentazione.

Indie-eye: A proposito di Sperimentazione e ricerca timbrica, In city Lights utilizzi uno strumento dimenticato dal tempo, il Marxophone, ci puoi raccontare come funziona?

Dustin: E’ uno strumento molto particolare che ha subito notevoli variazioni dal 1920 ad oggi. E’ molto simile ad un Autoharp ma il meccanismo è completamente differente; le corde vengono colpite da martelletti del tutto flessibili, e il risultato è un sorta di effetto tremolo molto suggestivo. Lalo Schifrin lo ha usato moltissimo per la sua musica.

Indie-eye: Incredibile, Lalo Schifrin ha utilizzato il Marxophone! avrei pensato piuttosto ad uno Zither. Ecco rispetto a questo in City Lights e in altri brani c’è una traccia sottile che ricorda alcune Soundtrack degli anni ’60, ma in modo davvero sotterraneo.

Dustin: Si il Marxophone è facilmente equivocabile per uno Zither, dal punto di vista del risultato timbrico. Quanto allo sviluppo di City Lights, ho dovuto fare una scelta drasticamente minimale, perché inizialmente il risultato timbrico era molto più potente e ricco di sovrapposizioni; ho preferito rielaborare queste intuizioni per sottrazione ed erosione.

Indie-eye: A propostito di strumenti che provengono da tradizioni sepolte nel tempo, nella tua release solista, Piano Solos, utilizzi un vecchio pianoforte; il suono è molto particolare, è trattato?

Dustin: Si è un vecchio Sabel restaurato, un piano di origini Svizzere fabbricato negli anni 30, ma non ho apportato nessun tipo di trattamento. Ciò che restituisce quel tipo di suono che hai definito particolare, è un effetto del metodo di registrazione che ho sfuttato. Il microfono è molto ravvicinato, e in molti episodi di Piano Solos ho lasciato che si sentisse il suono dell’ambiente.

Indie-eye: Quant’è importante il cinema nel tuo songwriting?

Dustin: I compositori per il cinema mi hanno influenzato in modo decisivo; in questo senso la scrittura cinematica è un tipo di scrittura che sento come abituale, credo fermamente che la musica abbia un alto potenziale visivo. Recentemente ho composto due brani per pianoforte che faranno parte della colonna sonora del nuovo film di Sofia Coppola, Marie Antoinette.

Indie-eye: E’ una grande notizia, come si è articolata la collaborazione con lei?

Dustin: Sofia Coppola ha un approccio inverso a quello della maggior parte dei registi nel modo di elaborare il rapporto tra musica e immagini; ascolta molta musica prima di filmare e soprattutto durante le riprese. Sono le scelte musicali che trascinano il film in una certa direzione, prima ancora che sia elaborata un’idea di montaggio. E’ un metodo che mi ha fatto sentire perfettamente a mio agio perchè ho potuto lavorare da subito sulla scrittura partecipando al processo di creazione visivo/sonora.

Indie-eye
: I brani che saranno inclusi nella colonna sonora sono Outtakes di Piano Solos?

Dustin: No, sono brani completamente originali, composti appositamente per il Film.

Indie-eye: Nel profilo di Devics presente su Myspace mi sono divertito a leggere quelle che definite come le vostre principali influenze, non solo in ambito musicale; il mio occhio si è fermato sul nome di David Lynch; ho sempre pensato che la vostra musica fosse profondamente Lynchiana, è una mia ossessione?

Dustin: David Lynch è tra quei registi che mi hanno influenzato molto, per il modo in cui la musica dei suoi film entra in contatto con gli elementi dell’immagine. Insieme a Lynch potrei farti i nomi di Jim Jarmush, Wes Anderson , Truffaut.

Indie-eye: Tornando a Push The Heart; mi sembra il lavoro più apolide di Devics, perché la ricerca timbrica è davvero stratificata e sembra provenire da tradizioni musicali molteplici, distanti tra di loro e anche difficilmente distinguibili.

Dustin: Credo sia inevitabile per un artista cercare di filtrare tutte le esperienze attraverso una voce che non può essere congelata. Il senso di questo divenire per me è abitare per molto tempo in paesi e terre diverse; Los Angeles per esempio mette costantemente in moto una scena musicale molto vibrante, c’è uno scambio ossessivo e proficuo tra musicisti di estrazioni diverse. Al contrario, non amo seguire particolari tendenze, molta musica di quella che coincide con un periodo specifico non riesce ad emanciparsi dalla fotografia del tempo, che ne so, Hunky Dory ci riesce, è davvero senza tempo, non potrei dire la stessa cosa di Low, che suona così datato. E’ difficile, ma come compositore cerco di elaborare un suono senza il ricatto del tempo, con un occhio al futuro e che abbia la possibilità di slittare sul presente. La musica che si produce oggi è davvero troppo nostalgica, ci sono molte band che ricordano i Joy Division; eh! tante grazie, allora preferisco ascoltarmi direttamente i Joy Division.

Indie-eye: A proposito di generi e categorie; c’è una parte della critica che si diverte a categorizzare la tua musica riferendosi alla cultura sonora degli anni 20 o 30; mi è sempre sembrata una sorta di definizione che limita la percezione della musica di Devics piuttosto che restituirla a quelle derive di tempi e suoni che collidono in un risultato proficuo e possibile.

Dustin: Per un certo periodo sono stato decisamente Ipernostalgico, con the stars ho sentito di dover creare uno strappo con questa caratteristica, per cercare di filtrare tutto in modo più diretto, onesto, più aderente ad una certa idea del presente; non amo troppo la musica Kitsch o Vintage; preferisco sperimentare le possibilità di un dispositivo tecnologico come ricerca delle sfumature, tutte le band che mi piacciono erano in fondo molto presenti nel loro tempo, uniche e allo stesso tempo sperimentali. Vivere il più possibile il presente, per me è importantissimo.

Dustin si ferma, chiede attenzione, aziona nuovamente il motore e la voce di Sara.

Sara: pensi che queste siano le risposte a tutte le tue domande?! Bene, riguardo alle influenze nella nostra musica, si tratta di affrontare una questione di una certa complessità. Sono un elemento che preme da quando avevo 5 anni, difficile capire da dove arrivano, difficile dare loro un’identità precisa.

Indie-eye: Il simulacro di Sara è Fantastico, e a proposito della difficoltà di capire da dove arrivano certi suoni o certe immagini; in Push The Heart più che in altri vostri lavori, si respira un senso di distanza o di perdita…

Dustin: Non credo che perdita sia la parola più adatta; piuttosto mi piace parlare di momenti estremamente semplici; l’idea è quella delle immagini distanti probabilmente, ma come possibilità di catturare momenti semplici , i piccoli momenti o i movimenti impercettibili sono molto complessi da descrivere. E Push The Heart in fondo è il tentativo di mettere insieme questi elementi, rendere questa semplice complessità, nel montaggio di più livelli.

Indie-eye: Trovo che The Stars of St. Andrea sia in un certo senso più lineare; come se trovasse la coerenza in un suono monolitico e molto definito, mentre Push The Heart si spinge verso uno strano equilibrio tra la sperimentazione di nuovi layer, soundscapes e una formula pop d’impatto. Due movimenti apparentemente antitetici che ti portano a pensare che questo sia un disco più immediato ma allo stesso tempo più complesso, stratificato e sperimentale.

Dustin: Mi è sempre piaciuto il Songwriting classico, e probabilmente è il tipo di Songwriting che mi ha influenzato maggiormente. Ogni canzone è tale, in forma molto semplice e diretta, nonostante cerchi sempre di tener presente la fusione di layer o Textures come procedimento di ricerca durante la scrittura. Quello che è importante per me è affrontare la preparazione di ogni nuovo lavoro come un esperimento, dove cerco sempre di mettermi in gioco.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è un videomaker, un Giornalista iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana e un Critico Cinematografico iscritto a SNCCI. Si occupa da anni di formazione e content management. È un esperto di storia del videoclip e del mondo Podcast, che ha affrontato in varie forme e format. Scrive anche di musica e colonne sonore. Ha pubblicato volumi su cinema e new media.
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