giovedì, Marzo 28, 2024

EMA – Past Life Martyred Saints (Souterrain Transmissions, 2011)

Erika M. Anderson è ripartita da se stessa. Lo scorso anno il gruppo free-folk Gowns, in cui ha militato per cinque anni assieme al compagno Ezra Buchla e al batterista Corey Fogel annunciava di sciogliersi. Sul sito di EMA, non in molti lo sanno, compariva Stand and Encounter, un lungo addio di diciassette minuti in cui le migliori intuizioni del gruppo, in bilico tra serrato sperimentalismo noise e folk psichedelico, venivano a condensarsi. Il loro album Red State, del 2007, rimane la perla-manifesto della loro tanto brillante quanto sotterranea esperienza, cui si riallaccia di necessità questo intrigante e sofferto autoritratto che Erika ha messo a punto per la sua neonata carriera solista. Oscure e inafferrabili, le atmosfere del gruppo cedono il passo a una dimensione ostentatamente personale, carica di pathos e slanci autobiografici, una via di mezzo tra uno sfogo liberatorio e un rimescolamento di impressioni e ricordi, quasi venisse messa al centro del disco l’idea di una “crisi”, affrontata ora a colpi d’ironia, ora con ripide discese in territori depressivi in cui è facile smarrirsi e toccare il fondo. Proprio per questo è facile scambiare la carica emotiva dei testi, intrisi di aggressività e disillusione, per un rigurgito post-adolescenziale che invece a EMA va alquanto stretto, data la sua straordinaria abilità nel trasformare di continuo le sue intuizioni, alternando i panni della rockeuse spregiudicata a una dimensione intimistica che riesce a dare pieno spazio alle sue radici più sperimentali. Così accanto all’insofferenza un po’ pop, un po’ splatter del singolo California (“Fuck California/you made me boring/I’ve bled all my blood out/but these red pants don’t show that”) si accostano ferite più sottili e drammatiche (“Enough flesh wounds to make a kill/I know nothing lasts forever/If you won’t love me/someone will”, canta in coda a Red Star). Un quadro frastagliato e metamorfico, che la musica ha il grande pregio di riflettere e complicare, vestendo i nove brani di una gustosa imprevedibilità. Il primo brano, The Grey Ship, è una straordinaria sintesi del prodigio. Una partenza folky a base di chitarra e sussurri cede il passo d’improvviso a un crescendo ipnotico e inquietante in cui la voce si lascia accompagnare da un drone, per poi esplodere in un frammento elettrico e rilassarsi in un finale dimesso e malinconico. Al minuto 7 il velato presagio di morte dell’attacco si è piegato a un senso di vuoto (“Nothing, and nothing and nothing and nothing / I’ve got the same feeling inside of me”): ambizioso voler calare l’ascoltatore in tutte le fasi intermedie. Con California lo switch è notevole. Il flusso di coscienza di EMA è parlato, un parodico rap tuffato in lisergiche distorsioni: un’anomala creatura pop a tutti gli effetti. Come pop è l’approccio rumoroso dell’ossessiva Milkman, subito azzerato dal breve intreccio di voci di Coda, in cui compare lo stesso Buchla. Marked, ripresa dall’ultimo (e raro) EP dei Gowns Broken Bones è un altro piccolo capolavoro, tutto giocato sull’abrasività lo-fi delle chitarre e la morbosità della voce graffiata che ripete “I wish that everytime he touched me left a mark”. Prosegue la linea sperimentale dell’ex gruppo anche l’ottima Butterfly Knife, in cui rabbia e depressione sono impantanate in una coltre di irriducibile confusione. L’album chiude con Red Star, una malinconica ballata di morbide chitarre impreziosita da un crescendo tiratissimo in cui l’immaginario bifronte di EMA non viene lasciato al caso (“Like a red star/like a blue scar”). Un disco da riattraversare alla ricerca dell’imprevisto, Past Life Martyred Saints saprà dischiudere la sua dimensione personale e affidarla a chi si lascerà trascinare nei suoi saliscendi: non è difficile immaginare che in molti lascerà il segno.

EMA sul web

Redazione IE
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