sabato, Ottobre 12, 2024

Akron/Family, l’intervista @ Indie-Eye, Roma, 28 Marzo 2012

Pensate in generale che il percorso degli Akron/Family vi abbia portato in territori tanto diversi nel corso degli anni? La vostra musica è cambiata così tanto?

MS: Molta musica cui facciamo riferimento è puramente senza forma, astratta, questo è vero, ma se guardi alla storia degli Akron essenzialmente ci basiamo sul formato-canzone. Non è mai così folle come può sembrare, è solo che non perseguiamo un sound omogeneo per tutto l’album. Dylan, Hendrix, Beatles e Greatful Dead sono rimasti al centro per tutti noi.

Ascoltate mai i vostri primi album autoprodotti? Ieri ho riascoltato Eskimo [primissimo disco su CDR del 2003]!

SO: Ma dai?! Eskimo è fico vero?

MS: Quanto tempo!

SO: C’è una parte parlata di Deepak Chopra. Sì, mi piace ancora quel disco. Erano bei tempi. Abitavamo in questo loft piuttosto assurdo a Brooklyn, avevamo un solo microfono! La registrazione subiva un processo quasi esoterico, direi. Io avevo un 4 piste Zoom digitale, registravamo lì e poi importavamo su Sound Forge, lo facevamo a pezzi e poi ci lavoravamo su Fruityloops: era tutto quello che avevamo.

MS: Era più un lavoro di giustapposizione di suoni e piccole componenti registrate. Magari registravamo il rumore di un colpo dato a un barattolo di caffè e sul computer avevamo una cartella dal nome “barattolo di caffè”, con sessanta versioni dello stesso rumore [Ride].

SO: Ti riveliamo che un giorno o l’altro ripubblicheremo questi primi dischi sulla nostra etichetta, la Family Tree Records. È una cosa che vogliamo fare da tempo. Eskimo e Franny & The Portal To The Fractal Universe of Positive Vibrations.

Voi e sti titoli…

MS: Beh, il titolo vero di Eskimo è Attention Span Expansion Every Eskimo on Mescaline.

Ecco, appunto.

MS: I nostri titoli son sempre lunghi. Divento malinconico se ripenso a quel periodo.

SO: Non so se ti ricordi quell’articolo famoso di Wire sul New Weird America. Uscì in quel periodo, mentre noi eravamo a Brooklyn e lavoravamo ai nostri primi dischi. Non conoscevo molti musicisti, neanche gli Oneida, era un’esperienza piuttosto isolata la nostra, perciò quando ho preso in mano la copia di Wire  ho visto il nostro nome vicino a quello di altri gruppi che non conoscevo, come Sunburned [Hand of The Man] o Six Organs [of Admittance]. Lo chiamavano “free folk” e ho pensato che ci rappresentasse in qualche modo, perché inglobava degli elementi di improvvisazione. Di fatto il materiale che producevamo a casa era acustico, ma c’erano parti più sperimentali. In un certo senso vederci anche su Wikipedia vicino ad altri ai tempi ci faceva sentire meno isolati in quello che facevamo. Non che ci sentissimo parte di un movimento.

MS: La fuga di informazioni su internet diventava indomabile proprio in quel periodo, poco dopo l’uscita del nostro primo album [2005]. Spesso ci veniva detto di prendere elementi da alcune band contemporanee, ma noi neanche le conoscevamo, andavamo a sentirle dopo aver visto di essere associati al loro lavoro!

SO: Quello che mi convinceva era l’idea di avere un approccio da outsider al folk, non tanto in maniera puramente intellettuale, quanto con l’obiettivo di decostruirlo in modo creativo. (continua alla pagina successiva…)

Redazione IE
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