mercoledì, Aprile 24, 2024

Herself, l’intervista: “morire al mondo”

Mai avuto l’idea di sondare il terreno fuori da qui?

 Certo, ci penso sempre. Ma ci vogliono i soldi. E io non ne ho. Come ci stai, per dire, a Berlino, se non c’hai i soldi?

Tornando al nuovo album. Questo è il primo a portare come titolo soltanto il nome Herself. E’ da intendersi come una sorta di ripartenza? Lo consideri il tuo lavoro più rappresentativo?

Hai visto bene. Non è una forma di cesura con il passato, anzi, per certi versi è un potenziamento di quanto detto finora. Proprio per questo motivo forse si avverte una sorta di caratterizzazione maggiore, non saprei. Però in parte è anche un ribaltamento delle premesse, un po’ del buon vecchio lo-fi è alle spalle. Credo siano le opere stesse, di volta in volta, a ‘reclamare’ una titolazione, ma non è affatto una regola. Quando finisci un disco, in fase di “rilettura”, dal milieu capita che salti fuori una sensazione generale, o delle circostanze unitarie, anche solo simboliche, che contribuiscono alla formulazione di un titolo. Stavolta, semplicemente non lo richiedeva.

In Herself risaltano alcuni cambiamenti anche rilevanti, non ultimo la presenza di più collaboratori diversi. A questo è corrisposto anche un diverso approccio compositivo? Quanto contribuisce chi suona con te alla definizione finale del brano?

In realtà Herself, almeno nelle retroguardie, è sempre stata fin dai suoi esordi una famiglia allargata; e anche se il maggior azionista è il sottoscritto, in verità, tutte le persone (e le varie line-up) da sempre coinvolte hanno contribuito generosamente a vario titolo alla formulazione della mia musica: lo si può rintracciare negli orpelli come nell’arrangiamento generale (vedi la sezione archi di Aldo Ammirata, o qualche batteria di Toti Valente e Piero Vizzini, o ancora le voci e il wurlitzer di Amaury Cambuzat e Marco Campitelli su un paio di brani). Anche se lo scheletro del brano è di mia mano, indubbiamente, spesso la versione finale registrata risulta potenziata da questi amici che con prodigo entusiasmo prestano ad Herself la loro opera.

In sede di recensione ho fatto riferimento a questo come un album più indie-rock rispetto ai precedenti. Mi sembra d’aver notato una certa volontà nello smarcarti da certe soluzioni più off, per esempio nell’uso più parco dell’elettronica.

 La tua analisi è corretta, la condivido perché è anche la mia percezione, nei limiti della distanza critica consentita all’autore. Ma si tratta solo di una risultanza a posteriori. Nei fatti, non è un qualcosa che è stato deciso programmaticamente; non credo sia mai successo di decidere scientemente dove un disco dovesse andar a parare (non avrei, d’altronde, tutta la capacità manipolativa che serve per saper stare sul mercato). Corservo testardamente sempre una certa quota di spontaneità in quello che faccio. Anzi, diciamo che se c’è una cosa che vorrei si apprezzasse di Herself, è proprio l’assoluta e incosciente noncuranza di ciò che gli altri potrebbero pensare. Nondimeno provo sempre a mantenere una certa lucidità nella percezione del contesto ambientale in cui mi muovo. Tanto quanto basta per evitare di essere preso per scemo. (continua nella pagina successiva…)

Alessio Bosco
Alessio Bosco
Alessio Bosco - Suona, studia storia dell'arte, scrive di musica e cinema.

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