venerdì, Aprile 19, 2024

Monotonix; l’intervista al primavera sound 2010

Poche settimane fa i Monotonix sono stati i protagonisti di uno dei live più adrenalinici dell’intero Primavera Sound. Durante i quaranta minuti del loro concerto è successo veramente di tutto: una doccia di birra per il chitarrista, crowd surfing con il 95% del corpo in bella vista per il cantante, ragazze obbligate (ma non così contro la loro volontà) a salire in spalla al batterista e tanto altro ancora. Il tutto con in sottofondo le ritmiche secche ed i riff taglienti e animaleschi dei brani contenuti su Where were you when it happened?, il disco degli israeliani uscito ormai da qualche mese. Ne abbiamo parlato con Yonatan Gat, il loro chitarrista, per scoprire da dove arriva tutta l’energia di questa incredibile band. Ecco cosa ci ha detto.

Vorrei iniziare l’intervista parlando di Where were you when it happened?, il vostro nuovo album. Credo che ci sia stato un cambiamento nella vostra musica rispetto a Body Language. Nell’EP potevamo ascoltare canzoni legate all’hard rock e perfino al metal. Ora siamo da qualche parte tra grunge, noise e anche punk-blues. E’ così? Come si è svolta questa evoluzione?

Penso che quando abbiamo scritto le nostre prime canzoni, quelle che sono sull’EP, stavamo ancora cercando in qualche modo di trovare cosa ci sarebbe piaciuto fare insieme; stavamo imparando, definendo e trovando i limiti della musica dei Monotonix, così le canzoni potevano avere queste parti strane e differenti stili al loro interno. È venuto abbastanza bene sull’EP, ma era un po’ differente da quello che facevamo live e da come ci sentivamo davvero. Più il tempo passava e più abbiamo iniziato a semplificare la nostra musica e a fare qualcosa che è davvero diretto, minimalista e semplice. Come facciamo quando suoniamo dal vivo. Il nostro prossimo disco, che finiremo di registrare entro due settimane, si sta rivelando ancor più semplice di Where were you when it happened?. Penso sia musicalmente più ricco e che abbia un suono leggermente più hi-fi, perché lo stiamo registrando nello studio di Steve Albini, che è un po’ migliore dello studio in cui abbiamo lavorato in precedenza. Ha maggior durata, ha più canzoni, che hanno uno stile simile ma al tempo stesso sono abbastanza differenti tra di loro. Canzoni brevi, come una specie di disco punk. Mi piace, e sono contento che le cose siano girate in questo modo. Sono eccitato all’idea di farlo uscire entro pochi mesi.

Penso che ci sia stata un’evoluzione anche nella voce di Ami, che è diventata più “ululante”, sulla scia di Iggy Pop, ad esempio. Da dove deriva questa scelta?

Penso che Ami abbia imparato lentamente cosa gli piace fare di più, all’inizio cantava in modo differente ogni canzone, ma dopo un po’ penso che abbia trovato la sua voce. Probabilmente considererebbe un grande complimento il paragone con quella di Iggy, ma penso che Ami abbia il suo stile di canto, e in definitiva il suo marchio di inglese schifoso con accento israeliano.

Una delle migliori canzoni di Where were you when it happened? è Set Me Free, con un grande lavoro sulla voce e la chitarra e sul modo in cui interagiscono. Puoi dirci qualcosa su come si è sviluppato quel brano?

È un pezzo vecchio, ci abbiamo lavorato dopo l’EP, quando suonavamo per cercare nuove idee e nuove canzoni. È venuto fuori il giro di batteria, che rimane virtualmente lo stesso per tutto il brano, e tutto è cresciuto attorno ad esso. Ricordo che all’inizio suonava come uno strano beat africano nella mia testa, ma poi è diventata solo e soltanto una canzone dei Monotonix. Anche a me piace molto. La facciamo raramente dal vivo però, è un po’ troppo lenta per ballarci sopra.

Un’altra grande canzone è Something Has Dried. È abbastanza diversa dalle altre canzoni, può ricordare una versione meno triste degli Alice In Chains. Sei d’accordo?

Non ho mai ascoltato molto grunge, a dire il vero. Ma mi piacciono i Mudhoney e i Melvins, se li vuoi chiamare grunge. Per me Something Has Dried suona come i Monotonix che cercano di fare una ballata anni ’50, e penso che sia una canzone triste. Penso che tutto Where Were You sia un disco abbastanza triste. Quello che stiamo ultimando ora è più allegro. Mi piace questo contrasto.

Siete famosi per i vostri incredibili show dal vivo. Qual è il legame tra il caos dei vostri concerti e ciò che possiamo ascoltare su un album? Cercate di mantenere la stessa energia del live mentre registrate?

Penso che quello che facciamo dal vivo e quello che facciamo musicalmente sia abbastanza simile. Non penso che lo show influenzi le canzoni o che le canzoni influenzino lo show, credo che si nutrano a vicenda. E penso che con gli anni stiano diventando sempre più simili. Penso che in ogni disco ci avviciniamo sempre più a questa somiglianza, è per questo che sono così eccitato per quello che sta per uscire, penso che stiamo facendo quello che hanno sempre fatto le band che ci piacciono, cioè catturare su disco ciò che sono realmente.

Ho letto una recensione di un vostro concerto in cui siete definiti come “la band perfetta per i nostri tempi, la colonna sonora e la rappresentazione visiva di un mondo che sembra andare fuori controllo”. Cosa pensi di questa descrizione?

Mi ricordo chi ha scritto questa cosa. È John Lomax, di Houston. È il nipote di Alan Lomax. Alan Lomax era un antropologo musicale e uno dei più importanti studiosi e documentatori della musica folk dagli anni ’20 ai ’60 assieme a suo padre John Lomax. Viaggiarono attraverso la Spagna, l’est Europa e gli Stati Uniti con una macchina per registrare grande quanto un frigorifero e registrarono gente che cantava nelle strade, nelle prigioni, dozzine di andalusi che cantavano in perfetta armonia dentro ai bar. Direi che è fantastico, ero felice che qualcuno appartenente a quella famiglia fosse a conoscenza ed interessato a ciò che facevamo. Siamo anche rimasti in contatto per un po’. Ho apprezzato i complimenti e sono felice che ci abbia trovato rilevanti nel pazzo mondo di oggi.

Sempre parlando di “perdere il controllo”, durante il  concerto al Primavera Sound ho visto Ami inginocchiarsi davanti a un ragazzo con una t-shirt dei Joy Division. Davanti a quali altre band vi inginocchiereste?

Ahahah. Ci piace fare un sacco di cose divertenti durante i concerti, ma non penso che ci si debba inginocchiare davanti a nessuna band. È solo musica. Idolatrare e mettere delle band su un piedistallo dovrebbero essere cose superate. Intendiamoci, i Beatles erano fantastici, hanno fatto cose davvero incredibili, e Syd Barrett è un genio pazzo, è vero. Ma a volte ho voglia di ascoltare Robyn Hitchcock o qualcun altro che è semplicemente una persona che sta facendo musica. È solo musica. Alcune persone hanno un grande talento e fanno cose eccezionali, alcune lo sono meno e possono fare comunque cose buone, altre ancora fanno cose orribili, che però alla gente possono piacere. Tutto qui. Mi chiedo se tutta la tecnologia che sta intaccando la musica frantumerà anche qualche piedistallo musicale.

Stavo pensando a tutte le cose incredibili e pericolose che fate quando suonate. Seguite semplicemente l’istinto o prima del concerto vi guardate in giro e pensate “possiamo arrampicarci là sopra oppure distruggere quello”?

Abbiamo fatto molti concerti, quindi forse abbiamo un buon istinto ormai… a volte ci facciamo male, ma di solito tutto va bene.

Siete di Tel Aviv, poi vi siete spostati negli Stati Uniti. Perché questa scelta? Solo perché siete stati banditi da molti dei locali della vostra città? O per altro?

In realtà viviamo ancora a Tel Aviv. Facciamo gran parte dei nostri concerti in America, Europa e Australia, ma ci piace ancora vivere lì. È un gran bel posto.

Com’è la scena musicale israeliana? Potete suggerirci qualche band del vostro paese?

Il nostro amico Adam Coman è fantastico. Non so se ha qualcosa online da qualche parte, ma fa uno show eccezionale. Porta il genere “singer/songwriter”, che ora la gente odia, a un nuovo livello. Lo rende più provocatorio e rock’n’roll. È l’unica volta che ho visto qualcuno rompere una chitarra acustica durante un concerto da solo. Diventa divertente quando non c’è la batteria o canzoni rock pesanti. Mi piace quando qualcuno riesce ad ottenere l’effetto di una rock band cercando di fare tutto da solo con una chitarra ad esempio. Gli piace urlare dalla pancia e suonare la chitarra con cattiveria, però ha davvero delle ottime canzoni. È un grande.

Quali sono i vostri prossimi progetti? State lavorando a nuove canzoni o state solo pensando al tour?

Finiremo il nostro prossimo disco nel giro di due settimane, come dicevo prima. 8 delle 12 canzoni sono già state registrate, ora stiamo facendo le ultime 4. Quando uscirà, andremo ancora una volta ovunque potremo, perché vogliamo che la gente lo ascolti e lo conosca.

Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi, classe 1984, sopravvive alla Brianza velenosa rifugiandosi nella musica. Già che c'è inizia pure a scrivere di concerti e dischi, dapprima in solitaria nella blogosfera, poi approdando a Indie-Eye e su un paio di altri siti.

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