venerdì, Marzo 29, 2024

Scott Walker – da Tilt a Bish Bosch, La trilogia dell’oscurità

Il Tilt (processo “istantaneo”) diviene The Drift (processo “dinamico”, la deriva) e tutto l’album non solo è mosso da una tensione sonora sino all’insostenibile ma rappresenta un autentico affondo negli antri più oscuri dell’animo umano, ancor più esistenzialista e profondo del precedente.
Esplicitate sin dalle prime battute di Cossacks (un solo accordo di settima diminuita enfatizzato dagli arpeggi di chitarra, sospinto dagli accenti di batteria), l’atmosfera e le dinamiche narrative da opera lirica d’avanguardia esplodono nella successiva Clara, immaginifico apologo su Claretta Petacci.
Le distorsioni e le incursioni sono ancora più in primo piano, a Barber si sostituisce il Ligeti di Le Grand Macabre, gli archi, da dilatati e perfettamente distribuiti nelle sezioni, si comprimono violentissimi nell’utilizzo estremo dei cluster e dei glissando, l’uso delle percussioni è ancor più monolitico ed ancestrale, il tutto in linea con la narrazione onirica e angosciante.
Jesse (dedicata al fratello minore di Elvis) è invece una nenia con chitarre da western narcolettico che si trasfigurano in dissonanze à la Bernard Herrmann, sino alla declamazione della voce che, per la prima volta in solitaria, annuncia, in prima persona, di essere il solo sopravvissuto dei due fratelli.
Alle suggestioni cinematografiche Walker sostituisce definitivamente quelle del teatro lirico d’avanguardia, con la musica concreta (gli spaventosi urli da animale scuoiato di Jolson and James) convivono alla perfezione manipolazioni elettroniche del suono a renderne aliena l’origine, il tutto in omaggio ad un esasperato espressionismo che non rimane mai fredda esibizione stilistica ma penetra l’ascoltatore aggredendolo su più fronti, da un lato per il realismo dei dettagli narrativi, dall’altro, per l’intensità di un cantato insieme dolente e arcano, in totale contrasto con l’orgia sonora che lo pervade.
Cue è in questo senso il vertice del disco, brano nel quale le influenze di Penderecki (quasi un Mozart avanguardista in questo contesto) nell’utilizzo insinuante dei violini, l’unico inciso di tromba ripetuto all’infinito, lo scandire delle corde basse di arpa e chitarra elettrica si infrangono nel “BAM” di un Destino che bussa alla porta, in un silenzio irreale e nell’esplosione centrali del pezzo, ancor più sconvolgente se accostato alle soluzioni parodistiche della successiva Hand Me Ups e a quelle metalliche di Buzzers.
Psoriatic gioca insistentemente con un ribattuto di chitarra elettrica, imitato sino allo spasmo dalla sezione di violoncelli, fino a deviare in una minimal industriale, The Escape, ciondolante e pervasa da droni sottocutanei, almeno per metà, gioca quasi con il Morricone di The Untouchables e deflagra ancor più grottescamente nei vocalismi che potrebbero essere quelli di un Donald Duck sotto anfetamina. Naturale, dunque, che, con tale accumulo (mai anarchico o casuale, però), A Lover Loves assuma le vesti di ballad sepolcrale con un twang di chitarra elettrica pressoché immobile e la voce che si spegne in un sussurro.

Francesco D'Elia
Francesco D'Elia
Francesco D'Elia nasce a Firenze nel 1982. Cresce a pane e violino, si lancia negli studi compositivi e scopre che esiste anche altra musica. Difficile separarsene, tant'è che si mette a suonare pure lui.

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