venerdì, Marzo 29, 2024

Trentemøller: del sogno di Pinky e d’altri incubi. L’intervista esclusiva.

Come componi i tuoi brani, al computer o con strumenti tradizionali?

Recentemente scrivo soprattutto al piano, dato che nello studio dove sto registrando ce n’è uno. Odio stare seduto di fronte al computer per ore. In genere registro sull’I-phone qualche bozza, una melodia o una linea di basso, e solo in seguito inserisco la traccia nel computer. Nella fase iniziale, comunque, il computer è usato semplicemente come un registratore, mi serve a sovrapporre strati, beat, chitarre, moog e via dicendo. Solo quando il brano è sostanzialmente pronto lo uso per manipolare i suoni creati.

Non ho mai avuto la fortuna di vederti dal vivo. Un tuo concerto è più simile ad un evento rock o ad un set elettronico?

È una via di mezzo tra le due cose, a dire il vero. Suoniamo i pezzi dell’album, ma finiamo per modificarli, a volte anche radicalmente. Ho sempre considerato noiosi i concerti di quei gruppi che suonano i pezzi esattamente come sono su disco. Inoltre per me la cosa sarebbe letteralmente impossibile. Su album inserisco archi, strati di tastiere, magari cinque tracce diverse di chitarra. Per replicare tutto questo dal vivo avrei bisogno di essere accompagnato da una big band! Quindi di solito suoniamo un pezzo dietro l’altro… alcuni li fondiamo, ma il risultato non è affatto simile ad un set techno. Direi che il tutto assomiglia più ad un normale concerto rock.

Quando hai cominciato la stampa ti ha inserito nel filone minimal techno. Recentemente sei riuscito a smarcarti da quell’etichetta. Che opinione ti sei fatto della scena techno fiorita a partire dagli anni 2000?

A dire il vero non mi sono mai sentito parte della scena techno, il fatto che mi ci sia trovato in mezzo è dovuto ad una pura coincidenza. Quando ho cominciato a fare musica componevo già pezzi simili a quelli che puoi trovare su Into The Great Wide Yonder, ma accidentalmente i miei brani di successo, quelli che sono stati pubblicati per primi, erano stati composti in uno stile più simile alla musica da club. Improvvisamente mi sono trovato a far parte del filone minimal techno, ma in tutta sincerità ho sempre trovato quel tipo di musica piuttosto noioso. Il più delle volte manca totalmente di melodia. Il fatto che mi venisse richiesto solo quel tipo di musica ha cominciato anzi a darmi fastidio. In questo senso il mio primo album The Last Resort è stato decisamente liberatorio, perchè mi ha dato la possibilità di fare qualcosa di diverso. Da allora mi sono concentrato solo su quello che avevo davvero voglia di fare. Credo che adesso la gente non si aspetti più solo club music da un progetto come Trentemøller, il pubblico è consapevole del fatto che la musica può spaziare dal rock all’elettronica, e che l’unico limite che ci poniamo è quello di confenzionare un prodotto di qualità.

So che stai registrando un nuovo album. Su che stile ti stai orientando? È qualcosa di simile a “Into The Great Wide Yonder” o dobbiamo aspettarci qualcosa di completamente diverso?

Come ti ho detto per me è davvero difficile categorizzare quello che produco e, anzi, cerco di non concentrarmi troppo su questo aspetto… Credo che si possano sicuramente individuare delle similitudini con l’ultimo album, ci ad esempio molte tracce vocali… alcuni brani sono più indie-rock, altri più elettronici… Non sono davvero in grado di essere più preciso al riguardo, ma posso dirti che l’album uscirà a settembre di quest’anno.

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Federico Fragasso
Federico Fragasso
Federico Fragasso è giornalista free-lance, non-musicista, ascoltatore, spettatore, stratega obliquo, esegeta del rumore bianco

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