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Cloro di Lamberto Sanfelice: la recensione

Cloro di Lamberto Sanfelice

Jenny (Sara Serraiocco) ha diciassette anni e la sua aspirazione principale è quella di diventare una campionessa di nuoto sincronizzato. Costretta a lasciare gli allenamenti e la sua vita ad Ostia in seguito alla morte della madre, si trasferisce in un piccolo paese montano della Maiella dove oltre ad accudire al fratello Fabrizio dovrá affrontare il crollo psicofisico del padre Alfio (Giorgio Colangeli). Mentre aspetta che lo zio, residente in zona, si prenda cura di Fabrizio, Jenny troverà lavoro in un albergo vicino alla baita dove vive;in una condizione di cattività, prigioniera di un paese isolato senza alcun contatto con le sue compagne di squadra se non attraverso i dispositivi connettivi, cercherà di mantenere viva la sua passione, sfruttando la piscina dello stabile nelle ore notturne quando il personale non può scoprirla, ad eccezione del custode (Ivan Franek) un immigrato silenzioso di origini slave che dopo una sospettosa tensione iniziale si avvicinerà alla ragazza avviando una relazione con lei.

Lamberto Sanfelice, nel suo lungometraggio d’esordio rimane incollato a Sara Serraiocco cercando di indagare i gesti e le reazioni emotive della ragazza mentre i dialoghi ridotti al minimo lasciano spazio ad un approccio del tutto istintivo alla recitazione; Cloro è infatti un film che tenta la strada non facile di un cinema ellittico, pensando ai Dardenne e a Ursula Meier e affidandosi a quella scoperta progressiva dell’orizzonte visivo in grado di mettere in discussione il racconto attraverso lo sguardo, grazie ad un impianto che privilegia più di tutto il punto di vista.

E se la relazione attiva con il fuori campo risulta materia difficile per un film che forse un po’ ingenuamente sceglie il pedinamento come prospettiva totalizzante, il rapporto tra sguardo e corpi, nella relazione diretta con Sara, raggiunge momenti di sorprendente intensità, che fanno ben sperare per il futuro.

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