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Rachel di Roger Michell: la recensione

Roger Michell adatta per lo schermo My Cousin Rachel della Du Maurier. La recensione

Un grande maestro del cinema thriller e della suspense come Alfred Hitchcock non poteva non riconoscere il grande potenziale cinematografico della letteratura di Daphne du Maurier, la scrittrice nativa della Cornovaglia che ha fornito al regista britannico il soggetto di due tra i suoi film più apprezzati: Gli uccelli e Rebecca.

Antologizzata tradizionalmente tra gli esponenti della “romantic novel” novecentesca, la Maurier in realtà ha dimostrato con le sue opere di appartenere più coerentemente alla fertile tradizione britannica del romanzo gotico.

La scrittrice ama racchiudere in un alone di dubbio le ambiguità morali dei suoi personaggi, allacciandosi così ad una tradizione letteraria che fa del mistero, ma anche  occasionalmente del soprannaturale, il fulcro attorno al quale costruire la narrazione. Trasposti sul grande schermo dunque romanzi e racconti della Maurier, come appunto il celebre The Birds, si adattano facilmente alle modalità espressive dell’horror e del noir.

Il più recente film ispirato ad un lavoro dell’autrice inglese è invece strettamente legato proprio al gusto del gotico ottocentesco: Rachel, pellicola tratta dal romanzo My cousin Rachel pubblicato nel 1951, diretta da Roger Michell.

Siamo nei primi anni dell’Ottocento, in una villa della Cornovaglia. Rachel Weisz interpreta la Rachel del titolo, donna rimasta vedova dopo che suo marito Ambrose è morto in circostanze ambigue, a Firenze. Il cugino di quest’ultimo, Philip, cresciuto e amato dal più anziano Ambrose come un figlio, dubita infatti che l’uomo sia morto a causa di un tumore, come riportato dal medico; in alcune strazianti lettere speditagli dal cugino Rachel viene descritta come “tormento” ed è espressa diffidenza nei confronti del suo medico curante (ruolo affidato a Pierfrancesco Favino). Philip (interpretato da Sam Claflin) inizia così una personale investigazione per risalire alle reali cause del decesso di Ambrose, indirizzando il proprio odio verso la moglie, donna da lui mai conosciuta se non tramite la corrispondenza epistolare, che di lei ha messo in risalto un comportamento losco.

Rachel arriva quindi da Firenze presso la magione inglese di Philip, dove viene inizialmente accolta con freddezza. Lui progetta di vendicarsi di lei, ma dopo aver fatto la sua conoscenza ne rimane inaspettatamente attratto, proprio come lo fu Ambrose. Rachel si dimostra una donna affascinante e dai modi gentili; nulla di ciò che mostra di persona sembra corroborare le dicerie su un passato di lascivia e inganni e nulla sembra poter confermare il giudizio iniziale dello stesso Philip, inizialmente suggestionato dalle parole disperate del cugino ma infine catturato dal fascino stregato di Rachel.

Il film segue fedelmente la fonte letteraria e si sforza di ricalcarne anche le atmosfere. In Rachel si può apprezzare innanzitutto un ottimo lavoro di costruzione scenografica: costumi, ambienti interni, specialmente quelli della villa e gli esterni ricavati da varie location inglesi da Davon al Surrey, nei pressi del West Horsley Place e del Manor of Flete, sono tra i punti di forza di una pellicola il cui contesto non può essere ignorato, proprio come nei migliori romanzi gotici. Magioni e cupe fortezze sono in effetti luoghi topici di questo genere, a partire proprio da Il castello di Otranto di Horace Walpole, il romanzo che ha inaugurato l’importante corrente del gotico inglese.

Roger Michell, passato qui dalle strade di Notthing Hill alle isolate tenute della Cornovaglia, riesce anche nell’intento di veicolare una certa dose di suspense, senza tuttavia concedere mai troppe informazioni allo spettatore, nel pieno rispetto della storia della Maurier. Quando infine scorrono i titoli di coda, la natura indefinita della protagonista/antagonista Rachel non è stata affatto chiarita: durante la storia, Philip sembra cogliere alcune sfaccettature di lei che ne evidenziano il lato più oscuro, tra cui i tentativi di avvelenamento e di appropriazione dell’eredità familiare, ma nel momento in cui tenta di raccogliere prove della sua colpevolezza, ad esempio tracciando i suoi movimenti finanziari, resta deluso.

Non una, ma svariate sono le volte nelle quali questa rivalutazione del giudizio avviene, senza che ci siano mai risultati: Rachel resta un enigma, per Philip così come per noi. In un periodo nel quale è davvero di tendenza la rappresentazione di donne forti, dotate di carattere, Rachel ci lascia nello stato perplesso di chi non può davvero comprendere le intenzioni e la natura di questa figura femminile d’eccezione, affascinante e “stregata”, fragile in alcuni istanti e aggressiva in altri, casta eppure adombrata da maldicenze.

La sola cosa più grande di questo carismatico personaggio, una delle protagoniste femminili più suggestive nate dalla penna di Daphne du Maurier, è l’interpretazione di Rachel Weisz, che riesce a dare spessore alla sua figura mantenendo quell’aura di mistero molto fedele all’atmosfera costruita nei suggestivi racconti della scrittrice inglese.

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