Home festivalcinema Berlinale-68 Das schweigende Klassenzimmer (Silent Revolution) di Lars Kraume – Berlinale 68, Special:...

Das schweigende Klassenzimmer (Silent Revolution) di Lars Kraume – Berlinale 68, Special: la recensione

erik(jonas dassler)wird verhört

Stalinstadt (oggi Eisenhüttenstadt), 1956. Una classe di maturandi osa rispettare un minuto di silenzio per protestare contro la repressione nel sangue della rivolta ungherese e finisce per subire la rappresaglia delle autorità tedesche orientali. Storia vera, verissima, raccontata da uno degli ex alunni, Dietrich Garstka, nell’omonimo libro uscito per Ullstein nel 2006. Lars Kraume lo ha adattato e diretto consegnandoci un gioiello di cinema civile.

Vista la ricchezza della trama, non è un delitto raccontare il punto di partenza. Gli amici Theo (Leonard Scheicher) e Kurt (Tom Gramenz) si recano in treno a Berlino Ovest per visitare la tomba del nonno di uno dei due, e ne approfittano per andare al cinema a vedere “Liana, la figlia della foresta” (1956) di Eduard von Borsody, con Marion Michaels in costume adamitico (Adenauer permettendo). Per serendipity, oltre alle grazie dell’attrice vedono anche un cinegiornale che racconta i fatti di Budapest in maniera ben diversa dalla propaganda socialista sempre pronta a bollare le rivolte interne come manipolazioni del nemico fascista. I ragazzi ne parlano coi compagni di classe e seguono gli sviluppi tramite l’emittente RIAS (la radio del settore americano) disponibile presso la catapecchia del vecchio zio omosessuale di uno del gruppo – interpretato dal leggendario Michael Gwisdek, attore notissimo già sotto la DDR. La classe decide di imitare i politici di Strasburgo, rimasti in silenzio per due minuti. E questa scelta politica innescherà una spirale paranoica in puro stile “Le vite degli altri”.

Il tema DDR & libertà non è certo nuovo, e il rischio di piombare nella solita retorica è altissimo. Kraume dimostra un senso dell’equilibrio impressionante e un amore sincero nei confronti del medesimo periodo storico in cui aveva ambientato il precedente “Lo Stato contro Fritz Bauer” (2015), vale a dire quegli anni Cinquanta in cui il Muro non c’era ancora e alla cecità ideologica della Germania dell’Est faceva da contraltare il grigio bacchettonismo dell’Ovest. Entrambi i film parlano di normali cittadini che si scoprono impegnati in una battaglia impari con il sistema. Storie passate sotto silenzio in attesa di una voce in grado di dare loro il giusto risalto.

“La classe silenziosa”, questo il titolo tradotto alla lettera, riesce nel suo intento poiché non tira una riga netta tra buoni e cattivi. Certo, quando entra in scena il ministro dell’educazione (Burghart Klaußner) corrono brividi lungo la schiena, così come la pusillanimità dei suoi sottoposti non lascia dubbi. Ma quando si tratta di mettere in scena i ragazzi e le loro famiglie le sfumature prendono il posto delle tinte forti, e le apparenze si dimostrano spesso ingannevoli. Nella seconda parte il film sposta magistralmente il focus dai figli ai padri, dimostrando come anche una società che si presenta come un monolite sia in realtà fragile, umana, e il vissuto dei padri non è mai troppo distante da quello dei figli. Persino le forze occupanti russe vengono ritratte senza eccedere in stereotipi: in fin dei conti sono ragazzi anche loro.

Pellicola corale, solida e straziante, raccontata con un polso che ricorda sia il Peter Weir de “L’attimo fuggente” (modello dichiarato di Kraume), sia lo Spielberg intimista di “Bridge of Spies”, Das schweigende Klassenzimmer si qualifica subito come un classico contemporaneo, impreziosito dalle location autentiche offerte dalla cittadina industriale al confine con la Polonia. Poco importa come la si pensi in termini di storia tedesca orientale. Lars Kraume ci restituisce concetti universali come la necessità di denunciare il falso, la stupidità di qualsiasi regime, il dramma della separazione famigliare e il sollievo della libertà, come slacciarsi l’ultimo bottone della camicia col sole in faccia.

Exit mobile version