Home alcinema Foxfire: Le ragazze cattive di Laurent Cantet

Foxfire: Le ragazze cattive di Laurent Cantet

Ci vuole una buona dose di coraggio politico per adattare la scrittura di Joyce Carol Oates, forse una delle scrittrici Americane più importanti e incompromissorie degli ultimi cinquant’anni e allo stesso tempo una delle meno affrontate nella storia del Cinema. Le occasioni si limitano ad un piccolo film come Smooth Talk di Joyce Chopra, girato nel 1985 e tratto da uno dei numerosi racconti della scrittrice Americana (Where Are You Going, Where Have You Been), un tiepido adattamento televisivo di Blonde, il suo romanzo su Marylin Monroe scritto nel 2000, che presto sarà un film diretto da Andrew Dominik e prodotto da Brad Pitt, ed infine una prima versione, quasi istantanea, di Foxfire, diretta da Annette Haywood-Carter nel 1996, tre anni dopo la pubblicazione del romanzo della Oates, e interpretato da Angelina Jolie.

Mentre il film della Haywood-Carter spostava l’ambientazione dalla provincia dello stato di New York dei primi ’50  agli anni ’90 della suburbia di Portland, neutralizzando tutta la forza del romanzo con una patina quasi televisiva, Laurent Cantet riporta la “Girl Gang” della Oates a casa,e insieme al suo fedele sceneggiatore Robin Campillo ricostruisce l’america di provincia di quegli anni girando in Canada, a Sault Sainte Marie, con un gruppo di collaboratori più o meno frequenti nel suo Cinema, come Pierre Milon alla fotografia e Franckie Diago nel ruolo di production designer.

Maddy (Katie Coseni) è una delle tante adolescenti che subisce la sopraffazione dei suoi coetanei maschi e di una società, che nel primo approccio al lavoro lascia poche prospettive alle donne, tra cui sposarsi oppure affrontare una qualsiasi scuola per segretaria. L’incontro con Legs (una notevole Raven Adamson), cambierà le cose; le idee anarchiche della ragazza, alla ricerca di una maggiore dignità per le donne, anche a costo di riprendersela con la violenza, colpiranno Maddy, Goldie (Claire Mazerolle) e Rita (Madeleine Bisson), che si uniranno nel primo nucleo originario delle “Foxfire”, un team di “ragazze cattive” che con tutte le caratteristiche di una società segreta, attraverso un rituale fatto di giuramenti e tatuaggi, ingaggeranno una battaglia per l’autodeterminazione che si scontrerà con la società patriarcale Americana.

Seguendo fedelmente il corso degli eventi raccontati dalla Oates, Cantet descrive lo sviluppo delle Foxfire dalle prime azioni nonviolente (i graffiti sulla macchina di un professore) fino alla punizione esemplare inflitta allo zio di Maddy, dopo il tentativo di abusare della ragazza, sviluppando poi tutto il loro percorso comunitario all’interno della vecchia colonica che Legs decide di affittare e dove si uniranno nuovi membri, in un’organizzazione sociale del lavoro che consiste nel condividere economia e spese e più tardi nel farsi adescare da bravi padri di famiglia immediatamente ricattabili.

Cantet, pur mantenendo la linea narrativa della Oates con l’impiego di Maddy come voce narrante, introduce il suo film con un’attenzione specifica agli oggetti, i dettagli materiali,  le azioni quotidiane e rimanendo alla “giusta” distanza dalle attrici,  in modo da lasciarle libere con l’intenzione di evitare qualsiasi forzatura, una caratteristica che fa parte di tutto il suo cinema, e che ne “La Classe” raggiungeva altissimi risultati per una vicinanza molto forte tra la vita e il set e una capcità del cineasta Francese nel ricostruire una “flagranza” vitale.

Per Foxfire Cantet non cambia metodo, impiegando per lo più attori non professionisti ed esordienti, utilizzando la drammaturgia di un romanzo di formazione con una collocazione storica ben precisa che irrimediabilmente forza i margini dell’improvvisazione facendola collassare in quella dimensione tra storia e tempo presente. E in questo senso Cantet si aggira tra il quotidiano di queste ragazze come nei migliori film storici, quelli che raccontano la rivoluzione cercando di afferrare l’attimo prima di un’azione, quel fermento che è prima di tutto interiore e che si riverbera sulle azioni più semplici, senza abdicare alle tentazioni di una ricostruzione filologica soffocante, ma affrontando un’altra storia dai margini.

Tutta la prima parte del film, quasi sempre commentata dal surf astratto e fuori dal tempo del Canadese Timber Timbre, è scandita dalla vita quotidiana delle ragazze e dalle loro prime scorribande; c’è un’astrazione quasi lunare tra il gioco e l’acquisizione di un’identità personale, che con una semplicità visionaria, tipica del miglior Cantet, riesce a trasformarsi in un’immagine politica di grande spessore storico. Basta pensare al modo in cui l’apparente rilettura fedele del romanzo della Oates, si trasforma con leggerezza malinconica in un percorso rivoluzionario osservato attraverso più tappe; dalla furia istintiva degli inizi, al mezzo fallimento dell’esperienza comunitaria, con quell’attenzione ossessiva alla presenza materiale del denaro, fino alle due strade intraprese da Maddy e Legs, la prima verso la scienza delle stelle, la seconda riconosciuta come immagine evanescente che proviene da un’altra America.

In Foxfire Cantet filma gli adulti, il sistema famigliare americano, le pressioni del patriarcato, i luoghi del potere (case, prigioni) a partire dalla loro assenza; sono spazi vuoti,  ri-visti oppure reinventati quelli che percorre, come la vecchia casa colonica, o l’abitazione alto borghese dove Legs si prova vestiti e cappelli, oppure gli uomini incontrari all’ombra di un bar, in un vicolo, in una squallida stanza d’albergo, tutti gli spazi dove le ragazze mettono in atto le strategie di adescamento, filmati da Cantet, grazie anche alla fotografia scura di Pierre Milon, come immagini rovesciate dell’America anni ’50 più riconoscibile.

Un contrasto che accentua l’idea di un’utopia strappata ad una realtà orribile, e che ricorda quel tempo parallelo e sospeso divelto dalle logiche economiche globali nello splendido “A tempo pieno“.

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