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Heaven Adores You di Nickolas Rossi: la recensione del documentario su Elliott Smith

Nel filmare le città dove ha vissuto Elliott SmithNickolas Rossi cerca di catturarne l’essenza e allo stesso tempo, il vuoto. Sono immagini recenti e distanti dalla vita respirata dal musicista nato a Omaha e cresciuto in un sobborgo di Dallas, ma colpiscono per la loro forza ellittica. Tranne in alcuni casi, Rossi lascia la presenza di Smith fuori campo, servendosi per lo più di documentazione radiofonica, inquadrando i dispositivi di registrazione e i nastri magnetici e utilizzando come traccia narrativa la voce di Smith durante un’intervista della fine del 1997 rilasciata per KCRW nella nota trasmissione Morning Becomes Eclectic.

È forse uno dei documenti più interessanti di tutta la carriera di Smith, perchè al di là dell’apparente disagio di fronte alla macchina mediatica, emerge lo spirito di un uomo fondamentalmente onesto, diretto e con una visione lucida e non banale sulla felicità, fuori dagli stereotipi sul suo conto cari alla stampa internazionale. Di Portland, New York e Los Angeles rimangono dei frammenti montati con estrema attenzione agli oggetti, alcune strade, luoghi dove ha vissuto il musicista americano, il cui corpo viene re-immaginato solo attraverso la voce e questa persistenza dello spazio sul tempo, tanto da fare di “Heaven adores you” un sentito racconto elegiaco che prende corpo con le testimonianze degli amici e delle persone che hanno lavorato con lui e affrontando la morte attraverso la sopravvivenza di alcune tracce materiali. I negozi di vinile di Portland, gli oggetti devozionali accumulati dopo la sua scomparsa nei luoghi dove ha vissuto, i volti dei suoi primi collaboratori (da Tony Lash degli Heatmiser fino a Slim Moon, il fondatore della Kill Rock Stars), gli home video che ritraggono Smith mentre prova alcuni brani alla chitarra, i test in studio, alcune prove insieme al produttore Jon Brion e sopratutto la presenza di due figure fondamentali, l’amico d’infanzia Steve “Pickle” Pickering, e Joanna Bolme, che durante gli anni di Either/Or oltre a lavorare alla post-produzione, era fidanzata con Smith e influenzò, emotivamente, lo sviluppo di alcune canzoni.

Il viaggio di Elliott Smith diventa, nel documentario di Rossi, una lenta separazione dalle proprie radici, probabilmente attecchite nel primo viaggio importante della sua vita, quello che da Dallas lo porterà a Portland, luogo che torna con una forza di qualità spirituale anche dopo la morte, non solo per la celebrazione attraverso eventi e la produzione della discografia postuma, ma come segno di una serie di presenze che permeano completamente alcuni spazi della città. La morte quindi, vero e proprio “ghost in every town” la si percepisce proprio come immagine di un vuoto che persiste dopo l’allontanamento progressivo da quell’equilibrio umano e artistico verso gli anni della fama, che Smith sentirà come totalmente separati dalla sua personale ricerca di semplicità, anche per questo il suo corpo scompare o diventa evanescente nei filmati televisivi girati dopo il contratto con la Dreamworks, dove è quasi sempre inquadrato a distanza e in qualche modo ricompare attraverso la geografia urbana, come fosse uno spirito sempre presente. Quando si fa riferimento all’abuso di droghe e di alcool, le testimonianze non trasformano il documentario di Rossi in una detection ingiusta e morbosa, al contrario, diventano parte di questa sconnessione tra radici e rappresentazione di se.

Quasi interamente finanziato con i contributi partecipativi di una campagna lanciata su Kickstarter, il documentario di Nickolas Rossi confina la morte di Elliott Smith in uno spazio liminale; descritta solamente attraverso una serie di cartelli, non la fa coincidere con le ultime immagini del film, che sembra ripartire con alcuni footage dai concerti celebrativi allestiti nell’agosto del 2013, dove un gruppo di musicisti e amici, chiude a cappella una personalissima versione di “Happiness”: “What I used to be will pass away and then you’ll see | That all I want now is happiness for you and me

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