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Le Jeune Imam di Kim Chapiron, France Odeon 2023: recensione

Kim Chapiron descrive un Islam quotidiano e fuori dagli stereotipi rappresentativi a cui siamo abituati. Nella Francia contemporanea, l'affermazione di un giovane Imam passa dal dissidio doloroso tra storia individuale e bisogni collettivi. Visto a France Odeon 2023, la recensione

L’islam de Le Jeune Imam non è quello radicalizzato, né la descrizione di una comunità che affronta la difficile interazione con la cultura occidentale. Kim Chapiron si sofferma sulla vita di donne e uomini Musulmani nella Francia contemporanea, cercando armonie e contrasti all’interno della tradizione di riferimento, come se fosse qualsiasi altra.

In una realtà socio-politica già intesa come apolide e libera, il percorso di formazione di un individuo si muove tra insidie e sollecitazioni negative, a prescindere dai principi che regolano e animano il nucleo comunitario. Una normalizzazione che serve al regista francese per non assecondare tutti quegli stereotipi rappresentativi, lontani dalla vita quotidiana delle realtà islamiche all’interno di società secolarizzate.

L’interpretazione del Corano e della via indicata dal Profeta, assume quindi una connotazione intima e relazionale, che in qualche modo influenza e trasforma la convivenza collettiva.
L’origine è quindi nell’educazione dei figli e nel modo in cui questa viene interpretata attraverso il ruolo attivo delle donne.

La madre di Alì non transige sul comportamento del piccolo quando viene sospettato di furto, tanto da spedirlo dritto in Mali affinché ritrovi le radici di quegli insegnamenti che le cattive compagnie potrebbero sradicare per sempre.

Un’interpretazione fondamentalista che separa il bambino dall’affetto e dalla protezione del nido famigliare, per trovare all’interno dell’essenziale comunità maliana un Islam basato sulla comprensione e sul perdono.

Sul gesto d’affetto sottratto che procede da madre a figlio, Chapiron costruisce la sua parabola di formazione, che passa attraverso la correlazione spesso traumatica tra i principi della tradizione religiosa e i meccanismi che regolano il mercato del lavoro nelle società capitalistiche.

Alì torna in Francia come giovane uomo educato secondo gli insegnamenti delle scritture e assume su di se il controllo e la gestione della piccola moschea locale. Individua quindi connessioni più ampie nella libera Francia, attivando una commistione visionaria e rischiosa tra l’attività di guida religiosa come Imam, un nuovo proselitismo basato sulle potenzialità dei social media ed un business finalizzato al sostentamento delle attività cultuali.

Il valore sociale del denaro, nello slittamento da mezzo a fine, informa buona parte dei gesti che innescano la drammaturgia del film. Il passaggio di soldi non è estraneo alla ritualità comunitaria, ma sostituisce per lo più il valore del dono, come medium per definire sostegno e appartenenza collettiva.

Per Alì, il cui talento per il canto come veicolo principale per oltrepassare la condizione mondana verso quella spirituale gli viene riconosciuto pienamente, l’accumulo è connaturato alla necessità di emancipazione che la madre ha codificato al posto di qualsiasi slancio affettivo.

Nella Francia che dai magazzini Amazon cerca di rimettere in circolo i prodotti invenduti, danneggiati o altrimenti destinati al macero, Alì incontra la messa in abisso del turbocapitalismo come margine stesso dell’esistenza, interstizio possibile entro cui ritagliarsi la propria fetta auto-rappresentativa.
Il prezzo è ovviamente altissimo ed è quello del raggiro subito, della speranza distrutta dalla fata morgana del successo individuale.

Chapiron, con una messa in scena funzionale, sonda i gesti ripetuti, individua il passaggio di denaro dall’attività di culto a quella del mercato quotidiano, come insieme di attitudini che cambiano di segno in base al contesto culturale e politico.

La misurabilità del denaro, per la comunità a cui Alì si riferisce, è nel desiderio dei più anziani di compiere l’Ḥajj. Quei risparmi conservati lungo un’intera vita, caratterizzano il segno che può sancire un patto di fiducia, per concretizzare la sostanza di un desiderio che non appartiene alla sfera materiale.

Per Alì il denaro è certamente strumento per definire il bene della sua collettività, ma è attraverso di esso che può compiersi l’affermazione come individuo utile e riconosciuto.

Nello scambio simbolico, manca quindi il gesto di fiducia principale, quello che dovrebbe essere alla base di ogni processo produttivo e che per Chapiron parte proprio dal riconoscimento genitoriale del proprio ruolo nel mondo.

Nel girare a vuoto della merce, sfugge l’unicità del contatto tra madre e figlio, capace di plasmare la forza di un individuo, fuori dalla reificazione dei movimenti di compravendita che sembrano muovere tutte le gradazioni sociali.

Storia individuale e bisogni collettivi possono allora finalmente incontrarsi quando un semplice gesto di fiducia, può rimettere in gioco le intenzioni che sottendono qualsiasi azione.

Le Jeune imam di Kim Chapiron (Francia 2023, 98 min)
Sceneggiatura: Ladj Ly, Kim Chapiron, Dominique Baumard
Interpreti: Abdulah Sissoko, Hady Berthe, Issaka Sawadogo, Moussa Cissé, Nabil Akrouti, Samir Harrag, Merveille Nsombi, Harun Uyuklu, Djénéba Diallo, Sami Slimane, Nourredine Messaoudene, Améline Fanta Gandega, Malika Zairi
Fotografia: Sylvestre Dedise

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Michele Faggi è un videomaker e un Giornalista iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana. È un critico cinematografico regolarmente iscritto al SNCCI. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e new media. Produce audiovisivi
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