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The Hateful Eight di Quentin Tarantino: Ultra visioni

The Hateful Eight, il nuovo film di Quentin Tarantino, apre una serie di questioni legate al "giusto" formato di proiezione, facendo un radicale viaggio nel tempo. Vi raccontiamo alcune cose sulla storia dell'Ultra Panavision 70, il formato utilizzato dal regista americano per realizzare "The Hateful Eight"

L’operazione di investimento della Weinstein Company per recuperare e sistemare i proiettori 70mm capaci di proiettare gli undici rulli di The Hateful Eight comincia a metà del 2014. Il primo ostacolo è quello culturale, che si porta dietro una serie di conseguenze economiche onerose. Il passaggio al sistema digitale, come hanno fatto notare numerosi editorialisti statunitensi, ha decrementato le capacità dei proiezionisti ed è molto difficile trovare staff qualificato in grado di utilizzare macchine di questo tipo. L’Ultra Panavision 70 ha una storia circoscritta tra la fine degli anni cinquanta e il 1966 e identifica un processo che combinava le lenti anamorfiche della Panavision con la pellicola a 65 mm, estesa ad un rapporto di proiezione 2.76:1 contro quella usuale dei 70mm a 2.20:1. Il sistema, chiamato anche MGM Camera 65, consentiva ai 5mm in avanzo di accogliere la colonna sonora costituita da sei tracce stereo.

Breve storia dell’Ultra Panavision 70mm

È il 1953 quando la Todd-AO, compagnia fondata da Mike Todd e nome degli schermi 70mm sviluppati dallo stesso insieme alla American Optical Company, affitta il teatro numero 30 della MGM per testare il nuovo equipaggiamento.  In quel periodo Douglas Shearer della MGM stava collaborando con Robert Gottschalk della neonata Panavision Corporation, le cui lenti anamorfiche progettate per il Cinemascope erano considerate superiori in termini di angolo visivo e resa dei colori rispetto alle ufficiali CinemaScope messe in commercio dalla Bausch & Lomb o ad altre simili come quelle progettate dai fratelli Tuschinski. La combinazione delle due esperienze avrebbe quindi dovuto consentire di applicare gli elementi anamorfici della Panavision al formato più ampio progettato da Mike Todd.

Sono gli investimenti principali della MGM a fare in modo che il nuovo formato assuma il nome di MGM Camera 65. Il primo film girato con il nuovo formato è Raintree County (L’albero della vita) diretto nel ’57 da Edward Dmytryk, girato con macchine del 1930 ri-potenziate dalla MGM ma proiettato in realtà solo in 35mm almeno in relazione alla documentazione disponibile, considerato che i teatri equipaggiati con dispositivi 70mm erano un numero ridotto.

Ultra Panavision 70 è il nome che il formato assume a partire dal 1962 per l’acquisizione completa dei diritti da parte della Panavision. Il suffisso Ultra viene applicato per distinguere il formato dal 65/70 mmm di tipo non anamorfico chiamato prima Panavision 70 e successivamente Super Panavision. Il primo film quindi ad esser lanciato commercialmente con la sigla Ultra Panavision è How The West was won (La conquista del west) diretto da John Ford nel 1962, anche se il formato viene utilizzato per girare solamente alcune sequenze rispetto a quello adottato per il film stesso (Cinerama). Il primo film quindi che ufficialmente è legato completamente all’Ultra Panavision è Mutiny on the bounty (Gli ammutinati del Bounty) diretto nel 1962 da Lewis Milestone.

È davvero molto complesso dettagliare le differenze tra formati e teatri preposti; in questa sede è sufficiente spiegare quanto lo sviluppo di Ultra Panavision fosse correlato a quello di Cinerama, il sistema di ripresa e quindi di proiezione che per consentire la resa di un’immagine di grandi dimensioni, utilizzava in prima istanza tre cineprese per filmare e successivamente tre proiettori diretti sincronicamente sullo stesso schermo. Il problema più noto del Cinerama erano i cosidetti tre pannelli, ovvero le giunture visibili tra i tre fasci di proiezione puntati sullo schermo di 146 gradi di ampiezza, e studiati per avvicinarsi alla percezione periferica dell’occhio umano. Ultra Panavision nasce quindi come possibilità di superare i difetti del Cinerama con l’impiego di un negativo più largo (65/70 mm) recuperando quindi il pionieriestico 70 mm Grandeur film che si affacciò sul mercato grazie alla Fox intorno agli anni ’30 del novecento. Ultra Panavision quindi avrebbe determinato un effetto simile all’ampiezza visiva del Cinerama, con l’utilizzo di una focale più corta e lenti di proiezione più grandangolari per la proiezione su schermi curvi, senza i problemi di una proiezione troppo complessa dove l’artefatto delle tre fonti era ancora troppo visibile.

Il rapporto tra formati e teatri preposti viene per esempio evidenziato dalla produzione di It’s a Mad, Mad, Mad, Mad World, la rutilante commedia diretta da Stanley Kramer nel 1963 fu infatti filmata in Ultra Panavision ma proiettata in un teatro di nuova costruzione per la premiere e chiamato per l’appunto Cinerama Dome, tra i monumenti storico culturali della città di Los Angeles.

Il Cinerama Dome ai tempi della premiere di “it’s a mad, mad, mad, mad, world

Proprio per questi motivi c’è spesso confusione (a partire dalla temibile e cialtronesca Wikipedia) su tecniche di ripresa e occasioni di lancio del film stesso, nella storia che intreccia Ultra Panavision a Cinerama. Tra i film che vengono realizzati con il primo sistema e successivamente proiettati in teatri Cinerama, quindi con un sistema diverso da quello pensato in fase di realizzazione, ci sono The Battle of the Bulge di Ken Annakin (la battaglia dei giganti), The Greatest Story Ever Told (La più grande storia mai raccontata) di George Stevens e The Hallelujah Trail di John Sturges (La carovana dell’alleluia) tutti prodotti nel 1965.

Il film che più di tutti meriterebbe un capitolo a parte in questa nostra brevissima ricognizione sulla storia dell’Ultra Panavision 70 è sicuramente l’ambizioso “La più grande storia mai raccontata” di George Stevens, realizzato e pensato in base a quel formato. Non c’è spazio e ci limiteremo a raccontare che il film, esattamente come Karthoum di Basil Dearden, l’ultimo realizzato in Ultra Panavision 70 prima del recupero operato da Quentin Tarantino con The Hateful Eight, fu presentato in sale Cinerama, a conferma della storia accidentata di un formato assolutamente liminale nella storia del cinema americano.

L’Ultra Panavision 70mm per Quentin Tarantino

La scelta di Tarantino di adottare l’Ultra Panavision 70mm nasce quindi per una questione non dissimile da quella che ha accompagnato la sua storia fino alla prima metà degli anni sessanta. L’idea è quella del roadshow, della premiere, della presentazione “unica” in teatri equipaggiati, con difficoltà che erano flagranti negli anni ’60 e che incredibilmente si stanno ripetendo anche adesso per le premiere speciali allestite dalla Weinstein Co. a caccia di proiezionisti esperti, schermi adatti e pezzi di ricambio.

Se la presentazione del film in 35mm potrebbe essere considerata una causa persa – ha dichiarato il regista americano – Il 70mm non lo è. Rappresenta al contrario il futuro e il modo in cui un grande film (n.d.r. anche nell’accezione di visione espansa) potrebbe essere presentato come evento unico

Tarantino approfondisce il concetto citando il prossimo film della Saga Star Wars, Star Wars: Rogue One che sarà girato con le stesse lenti utilizzate dal regista americano insieme al direttore della fotografia Robert Richardson, con lui dai tempi di Kill Bill, ma che a differenza di The Hateful Eight, probabilmente non ricorrerà alla pellicola ma ad un nuovo tipo di dispositivo costruito dalla Arri Alexa (le nuove Arri Alexa digitali 65mm) per costruire il futuro di una visione “wide” estrema con le nuove tecnologie a disposizione.

Hateful Eight – una delle prime proiezioni test Ultra Panavision 70mm

Le scelte di Tarantino sono al contrario legate strettamente al suo modo di concepire il cinema, e come abbiamo spiegato nella breve introduzione all’Ultra Panavision 70, si sono orientate verso la scelta di un formato completamente dismesso, senza che questo venisse adattato nella direzione che la Disney sta imboccando per realizzare Star Wars: Rogue One.

Stacey Sher, produttrice di The Hateful Eight, attraverso le note di produzione e le numerose interviste che ha rilasciato per la stampa americana ha definito il film come uno straordinario microscopio sulla condizione umana: “rappresenta il modo in cui identifichiamo noi stessi attraverso le tappe della vita, sopratutto quelle più estreme, dove dobbiamo confrontarci con aspetti come tradimento e lealtà. Tutto questo è inserito all’interno di un western invernale davvero molto divertente ma anche molto autentico nel rivelare l’essenza della natura umana

Lo stesso pensiero espresso dalla Sher, Tarantino lo spiega proprio attraverso l’impiego delle lenti Ultra Panavision 70: “mi hanno consentito di catturare la vastita deserta di questo paesaggio Western – ha detto il regista americano – catturare la neve, la bellezza delle location, perfette per il 70mm. Ma il formato stesso mi ha permesso anche di elaborare la stessa intensità per gli interni, perché credo che sia adattissimo per offrire un punto di vista maggiormente intimo. Puoi essere vicinissimo ai personaggi, questo ti consente di invadere la loro intimità in termini magniloquenti, rendendola quindi grande. Per questo non credo che il 70mm sia adatto solamente per i travelogues

La grande capacità combinatoria di Tarantino emerge anche da queste brevi note proprio nel descrivere un approccio tecnico che diventa assolutamente poetico, attraverso l’applicazione di un formato desueto secondo un principio filologico che include anche la possibilità del tradimento; fedele e allo stesso tempo eretico rispetto al passato, anticipa il futuro dell’industria senza cedere di un millimetro alla rilettura digitale di un’idea personalissima della visione. Se ci si pensa bene, rispetto ad un mercato che ha lentamente assottigliato la differenza tra dispositivi prosumer e macchine consumer, spesso in mano a piccole produzioni che mimano il grande cinema con attrezzature ai limiti della parodia ludica, la riflessione che Tarantino innesca rivendica un’autonomia in grado di rilanciare l’industria e il grande cinema scrollandosi di dosso la riduzione in scala del mondo “indie”.

Sugli interni si è soffermata anche la co produttrice Shannon McIntosh: “il formato consente di cogliere qualsiasi sfumatura dei personaggi, sopratutto negli interni […] quando sono in una sola stanza, stanno tutti e otto perfettamente dentro la stessa inquadratura [….] Lato spettatore è una sensazione quasi claustrofobica, ti senti chiuso insieme a loro nello stesso spazio, e le possibilità dell’esperienza attoriale sono allo stesso tempo moltiplicate

E questa intimità, come ha ripetuto Tarantino, è offerta anche dalla resa dei colori che il formato offre, così vivida e intima allo stesso tempo, aspetto che con il digitale sarebbe andato completamente perso.

Per attivare questo processo, prima ancora di optare per un rilancio dell’Ultra Panavision 70, Tarantino ha spinto la Kodak a non dismettere la produzione di pellicola, in sinergia con Christopher Nolan e J.J. Abrams tanto da ottenere completo supporto dalla stessa industria per la realizzazione di The Hateful Eight. L’intervento della Panavision è stato successivo e ha sostanzialmente recuperato una quindicina di lenti progettate per il formato originale, incluse alcune utilizzate per la corsa delle bighe in Ben Hur, per poi prepararle all’utilizzo con le macchine da ripresa attuali.

Per Richardson e Tavenner, primo assistente alla fotografia, si è trattato di lavorare con lenti, che in termini non solo tecnici, sono paragonabili al momento in cui “apri una costosissima bottiglia di vino rosso, riserva anni 50

The Hateful Eight roadshow

Come dicevamo, il Roadshow diventa quindi parte del film. Pensato per esser proiettato in forma di lancio il 25 dicembre 2015 solo in un centinaio di sale equipaggiate per la proiezione in pellicola 70mm, la produzione punta alla diffusione come grande evento e recuperando quello spirito che accompagnava il lancio di film come It’s a Mad, Mad, Mad, Mad World. Tra le modalità recuperate anche quella di programmare l’overture della colonna sonora grazie ad una serie di show appositamente allestiti; operazione che sarà fatta anche con i brani scritti per il film da Ennio Morricone.

Non è la prima volta che la Weinstein Co. si trova a dover lavorare per attrezzare sale adatte alla proiezione di opere in 70mm.  È il caso di  The Master di Paul Thomas Anderson, girato in 65mm e per il quale furono allestite solamente 14 sale per garantirne una visione corretta.

The Master di Paul Thomas Anderson, pellicola 70mm

“Visione corretta”, inseriamo la frase tra virgolette perché i primi problemi tecnici e la difficoltà dell’intera operazione sono emersi recentemente, e documentati da Russ Fischer per The Playlist. La proiezione a cui si riferisce l’editorialista americano è quella per la critica e la stampa allestita al Crest Westwood di Los Angeles, a cui sono seguiti altri articoli al vetriolo dove si irride al futuro del 70mm, raccontando problemi di contrasto, problemi con il fuoco e altre amenità. Al Crest per esempio, la copia 70mm a un certo punto è stata sostituita con quella digitale per consentire alla stampa di proseguire agevolmente con la visione del film.

In questo senso, gli investimenti successivi e attualmente in corso per preparare al meglio le sale equipaggiate con vecchi proiettori, seguono il criterio del “refurbishment” con tutte le conseguenze legate alla difficile sostituzione di parti difettose, problemi di velocità, recupero di parti mancanti che arrivano da svariati luoghi degli Stati Uniti. Un problema diverso ma non per questo meno importante è la dotazione degli schermi, non sempre disponibili nell’estensione necessaria per proiettare un rapporto esteso come 2.76.1.

La preparazione dei proiezionisti è un altro aspetto fondamentale, trovare quelli capaci di controllare al meglio un proiettore 70mm non è così facile.

È certamente un’operazione titanica, un approccio visionario che per Tarantino si configura come importante esperienza sociale in un contesto in cui, a qualsiasi latitudine e in svariati campi dell’intrattenimento, la scomparsa dei supporti a favore di un ambiente liquido come veicolo principale per i contenuti, ha modificato pesantemente l’esperienza collettiva chiudendola nello spazio connettivo. Difficile intuire quanto di questa costosissima azione di resistenza, con tutte le contraddizioni che contiene, possa indicare una strada per il futuro, perché se il grande evento in forma roadshow rilancia alcune possibilità del mercato, l’allestimento di queste epifanie di lusso non è certo una dimensione accessibile per tutti, basta pensare alla formula “in tour” che veicola i film delle distribuzioni indipendenti e che non può certo mettere al centro dell’evento una qualità “irripetibile” offrendo lo stesso “luna park” scopico che è alla base delle proiezioni uniche di The Hateful Eight.

E a questo punto si apre il capitolo Italia. Come vedremo The Hateful Eight nel nostro paese? Saranno sufficienti (e sufficientemente attrezzate per evitare difetti) le poche sale disponibili, come per esempio la sala Energia dell’Arcadia di Melzo?

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