Home festivalcinema Berlinale64 Aimer, boire et chanter di Alain Resnais: Berlino 64 – Concorso

Aimer, boire et chanter di Alain Resnais: Berlino 64 – Concorso

All’età di 91 anni Alain Resnais si rivela essere il vero enfant terrible della 64. Berlinale presentando al festival il film forse più estremo della rassegna. Con “Aimer, boire et chanter”, il grande regista francese è riuscito a realizzare in tempi di produzione strettissimi un film di raro acume e sensibilità affidandosi a un ormai corroborato cast di collaboratori e attori che comprende: Sabine Azéma nel ruolo di Kathryn, Sandrine Kiberlain in quello di Monica, Caroline Sihol nel ruolo di Tamara, André Dussollier in quello di Simeon, Hippolyte Girardot nel ruolo di Colin e Michel Vuillermoz in quello di Jack.

Il soggetto del film – tratto dalla commedia “Life of Riley”, dell’autore britannico Alan Ayckbour, di cui Resnais aveva già trasposto cinematograficamente in passato altri due lavori: Smoking/No Smoking (1993) e Cœurs (2006) – è di una semplicità disarmante: intorno al sessantenne George Riley, lasciato da poco dalla moglie Monica (andata a convivere con l’attempato Simeon) e malato terminale di cancro, si crea un turbine sentimentale che getta nello scompiglio la monotona esistenza di due coppie in crisi: quella di Tamara e Jack, da una parte, e quella di Kathryn e Colin, dall’altra.

Anche l’intreccio è sviluppato in modo a dir poco piano. I fatti vengono presentati in ordine logico e cronologico, sono raccolti in quattro archi temporali brevi e ben definiti e vengono ambientati in cinque luoghi differenti: il giardinetto della villa di Tamara e Jack, il cortiletto della casa in città di Kathryn e Colin, il giardino ormai in rovina della casa in campagna di George, l’aia ben ordinata della fattoria di Simeon, con cui vive adesso Monica e infine, il cimitero in cui viene seppellito Goerge.

Il narrato si articola secondo i canoni della commedia degli equivoci. La particolarità di questo genere si basa sul fatto che il narratore e lo spettatore sanno sempre qualcosa in più dei personaggi della storia, riuscendo a intravedere nelle loro azioni ciò questi stessi vorrebbero tener nascosto. Il piacere della visione deriva dall’osservare come le reali intenzioni di ciascuno lentamente si palesino agli altri personaggi e entrino così in crisi equilibri sui quali erano basate fino a quel mentre le rispettive relazioni.

A livello formale, le inquadrature sono estremamente studiate, impera l’uso elegantissimo e quasi esclusivo del piano sequenza. Nei casi in cui questo s’interrompe lo sfondo viene annullato e il personaggio ha dietro di sé soltanto una superficie piana su cui è disegnata una fitta struttura reticolare. Gli ambienti evidenziano la loro finzionalità riducendosi a sfondi teatrali.

Oltre a questo gioco di rimbalzo tra linguaggio cinematografico (piano sequenza) e teatrale (ambientazione), a rendere la storia a dir poco spiazzante è il fatto che il vero dramma che c’è dietro non viene mostrato.

George è uomo che, abbandonato da poco dalla moglie e condannato dal cancro a una morte fulminante, si getta con tute le sue forze nel turbinio della vita cercando di prendere tutto ciò che questa può darle, senza farsi scrupolo di danneggiare quanti gli stanno intorno. Prima seduce le mogli dei suoi amici, infine fugge con Tilly (Alba Gaia Bellugi), la figlia di Tamara e Jack appena sedicenne, per un ultimo viaggio.

Tutto ciò è esattamente ciò che nel film non viene messo in mostra. Lo stesso George non appare mai, di lui si parla soltanto, quasi come se Resnais volesse ribadire una volta per tutte che la vita e i suoi drammi hanno luogo in un altrove che si pone ben al di là delle possibilità di rappresentazione del filmico.

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