Home festivalcinema 2 automnes 3 hivers di Sébastien Betbeder al Torino Film Festival 31

2 automnes 3 hivers di Sébastien Betbeder al Torino Film Festival 31

Il Cinema innamorato del Cinema di Sébastien Betbeder gioca ancora una volta, e forse più che nei suoi precedenti lavori, con i frammenti più trasversalmente colti di questa materia, inserendo esplicitamente citazioni affettive, da Judd Apatow all’Eugène Green di Le monde vivant, fino a dialogare direttamente con una sequenza de La Salamandra di Alain Tanner; ma oltre questo livello “semiotico” e Godardiano di una storia del cinema che diventa racconto intimo e morale, emerge in modo preponderante un approccio selvaggio e libero ai materiali, a partire da un 4:3 trattato come fosse una matrioska; prima formato ridotto e nostalgico di un cinema che non esiste più, poi racconto diretto e ancora interferenza VHS nei frammenti dove alcuni personaggi infestano e occupano i ricordi dei protagonisti.

2 automnes 3 hivers è un racconto amoroso apparentemente sdipanato attraverso un uso didascalico della parola, a tratti Alleniana nel suo ricorrere all’inversione di senso e al motto di spirito, ma allo stesso tempo esca lanciata verso immagini che sono già altrove e che aprono altre strade della visione, quasi a descrivere quel processo di conoscenza amorosa che la parola cerca di irretire e rendere accettabile ma che confina nello spazio del non detto e del non visto buona parte delle nostre vite.

Colpisce allora la leggerezza con cui Betbeder riesce a lavorare sulla varietà dei formati, dai siparietti in green screen realizzati completamente in digitale con i personaggi che isolano il loro flusso di coscienza, al racconto che si materializza oltre la parola con tutti quei gesti quotidiani che rimangono inspiegati, tra i quali emerge sicuramente la relazione di amicizia tra Arman e Bejamin, fatta di qualcosa che va oltre quello che ci viene raccontato.

Le vite di Arman e Amelie da una parte e quelle di Benjamin e Katja dall’altra si intersecano in due flussi apparentemente lineari, ma ripartono tutte le volte che una rottura si verifica; l’aggressione ai danni di Arman, l’incidente di Benjamin, il pianto improvviso di Amelie, il fratello depresso di Katja, uno degli aggressori di Arman che rivediamo verso la fine durante un viaggio in metrò, il bonsai che si presume stia morendo. Piccole cicatrici interiori dal sapore Garreliano e allo stesso tempo quasi “pop” che anche quando sono spiegate dal racconto interiore dei personaggi, voce fuori campo sempre presente, rimangono in una dimensione autonoma, come nella relazione disgiuntiva tra parola scritta, suono e immagine nel cinema di Godard che in fondo sembra il nume tutelare nei film di Sébastien Betbeder.

Forse come nei primi film di Hal Hartley, in questo di Betbeder si verifica il piccolo miracolo di un cinema che guardandosi indietro, cerca un incessante stimolo per re-inventarsi attraverso la storia della nostra vita più intima, semprepresente.

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