Home news Arance e Martello di Diego Bianchi – Venezia 71, Settimana della Critica

Arance e Martello di Diego Bianchi – Venezia 71, Settimana della Critica

Arance e martello è un film ‘storico’, in ‘costume’, ambientato nella calda estate del 2011; tre anni fa, nel pieno del potere berlusconiano. La vita di un tranquillo e ordinario mercato rionale è stravolta dalla notizia della sua chiusura da parte del Comune. L’unica realtà politica a cui rivolgersi è una sezione del PD, separata dal mercato e dal mondo da un muro di cemento eretto per permettere i lavori della metropolitana. Da quel momento si vivrà una giornata unica, paradossale, comica e drammatica, nel quale tutto si consuma e tutto diventa paradigma satirico della storia recente del nostro Paese.

Diego Bianchi, prima blogger e youtuber, poi giornalista e conduttore televisivo (dal 2013 in onda con “Gazebo” su Raitre) crea un “film storico in costume” ambientato nell’Italia berlusconiana del 2011. Già da questa didascalia, posta in apertura del film si riconosce la vena satirico-cinica che contraddistingue l’autore romano. Ispirato  a “Fa la cosa giusta” di Spike Lee, film più volte citato da Bianchi,  è un ritratto spietato del nostro paese, attraverso un piccolo episodio collocato nei dintorni di un mercato rionale , microcosmo metaforico dell’intera nazione.

Il film si sviluppa durante l’arco di “una delle giornate più calde degli ultimi centocinquant’anni”, nella quale si avrà modo di constatare, attraverso diversi personaggi, ognuno assurto a valore simbolico, ma mai in modo caricaturale o grottesco, le conflittualità e contraddizioni del belpaese entro il ventennio berlusconiano. Zoro, moniker di Diego Bianchi, cerca di realizzare un documentario sul mercato sotto casa sua, quando si ritrova invischiato nella disperata lotta di alcuni commercianti per ottenere l’annullamento della delibera che dà il via ai lavori di rinnovamento della zona e quindi allo sgombero del mercato stesso.

Questi si rivolgono alla sezione del PD del quartiere, da loro sempre snobbata per svariate ragioni: l’unica cosa che li tocca è il proprio interesse personale, che una volta minacciato sveglia aniama e coscienza sedate da anni di cattiva televisione e pessima informazione. Al rifiuto da parte degli esponenti del partito, inizia un’occupazione della sede del PD che porterà a conseguenze estreme. Bianchi affronta la vicenda sempre con toni leggeri, ma lascia intravedere una grande disperazione generazionale e il suo consueto pessimismo cinico attraverso le vicissitudini dei personaggi, incapaci di allargare i propri orizzonti e di riflettere su argomenti più complessi.

Lo stesso protagonista da lui interpretato, esattamente come gli altri è un avaro opportunista, che attende l’occasione giusta per diventare un famoso regista: questa si presenterà verso la fine del film, dal momento in cui ripresa l’intera giornata, inclusi gli scontri, le azioni, le fiamme dell’incendio scaturito nella sede del PD, gli si prefigura un futuro da premio oscar grazie al materiale raccolto. Questo andrà perso grazie all’intervento di un pompiere che letteralmente “spegnerà” l’ambizione di Diego bagnando lui e la sua telecamera, rendendola inservibile.

Quest’autocritica verso il ruolo di giornalista-regista è per Zoro un modo per non escludersi dalla sua invettiva al vetriolo. Bianchi sembra voler comunicare attraverso il suo personaggio che l’osservazione passiva dei fatti deve finire, e che è tempo di prendere posizione. Non a caso nel finale liberatorio, il grido del giovane dj del quartiere esorta a svegliarsi da quel sonno della ragione che in Italia dura da troppo tempo.

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