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Asha Jaoar Majhe (Labour of love) – Aditya Vikram Sengupta – Venezia 71- Giornate Degli Autori

L’opera prima di Aditya Sengupta è pura poesia lirica, uno sguardo non convenzionale che scruta la realtà attraverso le dinamiche di una coppia, elevandosi dalla quotidianità e riportando il tutto in una dimensione incorporea e ripercorrendo quelli che sono gli elementi  della cultura spirituale Indiana.

Sullo fondo di una Calcutta dove è sempre più difficile vivere, aspetto sottolineato da una voce fuori campo che racconta il suicidio di un operaio dopo aver perso il lavoro, viene tessuta delicatamente la trama di questo racconto sospeso nel tempo: una coppia sposata conduce una vita difficile; nonostante lavorino entrambi, gli orari lavorativi non consentono loro di potersi vedere nell’arco della giornata. L’atmosfera magica nel quale il racconto è immerso, si pone in antitesi con i fatti drammatici sullo sfondo: la crisi economica rimane in secondo piano ma è a causa di questa se la fisicità, e i momenti di intimità tra i due innamorati vengono compromessi. La quotidianità viene spezzata dal loro desiderio di potersi incontrare, i loro corpi sono fisicamente distanti, ma spiritualmente si trovano su quel letto, tempio del loro amore immerso in una dimensione onirica nel quale occasionalmente l’uno va a trovare l’altra: per poter servire un caffè all’amato oppure per assistere alla vestizione della sua sposa.

L’assenza delle parole consente ad Aditya Sengupta di lavorare molto sulle immagini ; la macchina da presa privilegia i dettagli: i vicoli chiusi avvolti nella nebbia, i cavi del tram, i muri con le loro fenditure,  gli  interni della casa vissuta dall’uomo e dalla donna alternativamente di giorno e di notte, le impronte dei piedi bagnati sul pavimento dopo un bagno, i cibi preparati religiosamente dalla moglie sono tracce lasciate vicendevolmente quasi come se fossero messaggi scritti con un codice intimo.

In questo universo al limite tra sogno e realtà un sentimento ostinato e profondo come l’amore riesce a ridimensionare anche i fatti più tragici della vita, e Sengupta ce lo mostra senza tecnicismi e con molta semplicità, lavorando sul taglio dell’immagine, avvicinandosi a oggetti, segni e corpi e limitando panoramiche e campi lunghi per mostrarci una storia intima e interiore scandita dai tempi di una realtà rituale. Aspetti che si riflettono anche nella caratterizzazione di Ritwick Chakraborty e Basabdutta Chatterjee, ottimi nell’interpretare la giovane coppia con toni mai ecessivi, ma di grande spessore emotivo.

 

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