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Locarno 66 in pillole: L’Étrange Couleur des larmes de ton corps di Hélène Cattet e Bruno Forzani

Hélène Cattet e Bruno Forzani o li si ama oppure è possibile cassarli come una coppia di impostori furbacchioni. Ma al di là di quello che potrebbe essere lo stesso volto di due militanze opposte, ciò che penetra il cervello con la forza acuminata di una disturbante tortura è la qualità già post-digitale del loro cinema, forse qualcosa in più della relazione tra fotografia, movimento, scenegggiatura che ahimè, è ancora parte del bagaglio critico medio per “parametrizzare” le visioni. Già Amer, il primo lungometraggio della coppia, lasciava ai corti precedenti tutti i residui della narrazione post-moderna per concentrarsi sulla frequenza, l’ipertrofia, il ritmo, l’intensità, la ripetibilità di una serie di campionamenti, perchè al di là dei riferimenti, Amer non era un film di genere, tantomeno un’operazione nostalgica, quanto il tentativo, a tratti terroristico, di due Vj interessati alla destrutturazione nello stesso modo in cui, per esempio, Dj Spooky metteva insieme un album quando incideva per la Asphodel, con i Public Enemy in una mano e un volume di Derridà nell’altra.

Il cinema della coppia Belga è allora horror come alcune frequenze estreme ai limiti dell’inaudito nella musica dei Painkiller, giusto per sottolineare la qualità armonica e musicale del loro montaggio, e questo nuovo “L’Étrange Couleur des larmes de ton corps“, sin dal titolo, denuncia la sua natura sperimentale e cromatica, il suo procedere per cluster e campioni, l’innesto di una penetrazione ossessiva nel ritmo e nei procedimenti cognitivi di una psicopatologia al lavoro.

Allora, la parola che ricorre, tra i recensori italiani (ne ho scovati ben quattro che si sono copiati a vicenda) è “solipsismo”, ovvero si presume, quell’autoreferenzialità che è semplicemente esercizio di stile, amore per il brandello di carne fine a se stesso, e infine, amore per se stessi.

Chissà, probabile che del Cinema, nel film di di Cattet-Forzani, non rimanga quasi niente, per come sembra orientato al linguaggio delle installazioni cross-mediali; dello sviluppo verticale del plot alla coppia Belga frega molto meno che al peggior Ruggero Deodato, tanto da sprofondare in un baratro di aperture e doppi fondi, come se dopo aver fatto a pezzi Suspiria e Inferno di Dario Argento ne mantenesse solamente l’esplorazione degli ambienti, la mutazione dello spazio come produzione di senso, le lame e la carne come sequenza accordale.

L’Étrange Couleur des larmes de ton corps” è allora un film insostenibile, cosi come lo era Amer, per gli occhi e per le orecchie, perchè si muove in una dimensione che ha già superato la riflessione sullo sguardo a favore di una vertiginosa cecità digitale.

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