Home covercinema Parole Povere di Francesca Archibugi: Lo sguardo del poeta

Parole Povere di Francesca Archibugi: Lo sguardo del poeta

E’ un incedere delicato e discreto sulla bellezza quello offerto al suo pubblico da Francesca Archibugi, che torna dietro la macchina da presa dopo quattro anni con Parole Povere,  presentato al Torino Film Festival nella sezione E intanto in Italia, dedicata ai registi contemporanei. Potrebbe dirsi un documentario biografico sulla vita del giovane poeta Pierluigi Cappello, ma lo sguardo narrativo si allarga ben oltre i confini del biopic per includere l’estetica immediata di un incontro che nasce tra le pagine e poi si moltiplica, che diventa un paesaggio di storie intrecciate intorno alla figura del protagonista.

E’ prima di tutto attraverso le poesie di Pierluigi che la regista lo incontra come lettrice, scegliendo di raggiungerlo tra le colline friulane per scoprire cosa c’è dietro le pagine e lasciando che l’immagine si nutra esclusivamente di questa esperienza intima, accompagnando lo spettatore tra le pieghe di un’esistenza fatta di paesaggi familiari e letterari, vita normale e straordinaria allo stesso tempo. Perché poeti forse si nasce o forse si diventa, quando a sedici anni sei costretto a rimanere immobile per tanto tempo in ospedale e capisci che il solo rifugio, la sola cosa che ancora è possibile fare è leggere:

Pierluigi non potrà più camminare, un incidente ha spostato il suo baricentro esistenziale dalle partite a calcetto e le corse in moto alla sedia a rotelle. Torna nei luoghi per raccontarcelo, laddove i libri lo hanno salvato dalla consapevolezza di una sentenza ineluttabile e dove ritrova con il sorriso un pezzo, forse il più importante, della sua storia. Sono gli amici, la pasta al tonno della mamma, la casa fissa e quella mobile – attrezzata per partecipare agli happening di musica e poesia – a costruire un ritratto privato ma condiviso nelle strofe, traccia solitaria di un sentire collettivo, di un popolo  indissolubilmente legato alla sua terra, a una natura madre e matrigna – nel ricordo del tragico terremoto del 1976, che coglie lo stesso Pierluigi bambino – restituendo senza invasioni una visione della realtà. L’incontro con la poesia rompe le barriere dell’io per farsi spazio totale, dove la lettura e la scrittura si inerpicano tra i sentieri dell’anima per scoprire nuove traiettorie, per incrociare i sentimenti e le strade di un luogo che ispira e accoglie ma che non delimita, perché quel Friuli consegnato alla storia della letteratura è patria e orizzonte, origine e nuova partenza per riscoprirsi e riscoprire l’oggi nell’umile precarietà di un verso che si fissa sulla pagina per rimanere vivo. Una direzione dimessa e un montaggio ancor più essenziale portano il segno di una scelta precisa di condivisione da parte della regista, impegnata in prima persona nel dialogo e nella conoscenza della materia narrata, trattata in una prospettiva più soggettiva che oggettiva, limitando l’intervento artistico senza sottrarre comunque spazio alla cura dell’immagine, appoggiata sullo schermo come diretta emanazione del reale.

Exit mobile version