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Un milione di modi per morire nel West di Seth MacFarlane: la recensione

È con il consueto umorismo dissacrante che Seth MacFarlane mette in scena la western comedy Un milione di modi per morire nel West. Una storia che narra in toni surreali le esilaranti disavventure di uno sfigato del West, Albert Stark (interpretato dallo stesso MacFarlane), un eroe non convenzionale, che niente ha a che vedere con i tipici cowboy dal grilletto facile e dagli speroni trillanti.

Il film si immette in un filone molto prolifico, ma di cui, da tempo, il cinema hollywoodiano era rimasto a secco. Dal Cat Ballou di Elliot Silverstein al più recente e originale cartoon western Rango, passando ovviamente per il seminale Blazing Saddles di Mel Brooks il cinema americano ha da sempre apprezzato queste “variazioni sul tema”, spesso sardoniche e smitizzanti, rispetto all’aura leggendaria dei classici western.

E così, alla ricerca di questa connessione tra l’iconografia fordiana e l’umorismo irriverente dei tempi moderni, MacFarlane si spinge fino alle storiche Monument Valley, location di tanti film del periodo classico.

MacFarlane non perde occasione per ironizzare e far riflettere sui paradossi dell’epoca e dei luoghi. Come le fotografie dai lunghi tempi di posa, tutte uguali, dai soggetti sempre seri e mai sorridenti, o attraverso la coppia di amici Edward (Giovanni Ribisi) e Ruth (Sarah Silverman), un timido calzolaio vergine e la prostituta di un saloon, che non praticano sesso tra di loro perché contrari ai rapporti prematrimoniali. Ma soprattutto, l’ironia di MacFarlane arriva a fornire un punto di vista più realistico del west attraverso le distorsioni surreali dell’iconografia storica. Una canzonatura di quegli stereotipi rintracciabili nei film e degli usi e costumi ottocenteschi.

“viviamo in un posto e in un periodo terribile” dice Albert “il west americano è un luogo assolutamente schifoso, disgustoso e pieno di pericolo. Qui qualunque cosa che non sia tu, vuole ucciderti. Fuorilegge, ubriaconi disprezzati, puttane arrabbiate, animali affamati, infortuni, malattie di grave o lieve entità, indiani, il clima, puoi schiattare andando in bagno; metto a rischio la mia vita ogni volta che esco per andare alla latrina, è pieno di serpenti a sonagli là fuori, e anche se dovessi farcela, cosa può uccidermi? Il colera”. Per non parlare di dottori che adottano metodi curativi dalla dubbia efficacia, come calci d’asino e chiodi nelle orecchie, o preti che uccidono i propri figli, fino ai minatori dalle budella corrose “che gli basta una scoreggia per rimanerci secchi”. Il west è insomma un enorme cesso pieno di disperazione, in cui inevitabilmente si va in contro alla morte, in un milione di modi possibili.

Ma questo è un film fatto di contaminazioni, che lasciano trasparire le maggiori influenze cinematografiche del regista, come l’incursione nel terzo episodio di Ritorno al futuro di ambientazione western, con un cammeo del mitico Doc Brown (Christopher Lloyd) o il vendicativo Django (Jamie Foxx) di Django Unchained, ma allo stesso tempo è una commedia western che si interseca a tratti col musical, fino ai culti mistici e al sogno psichedelico sotto l’effetto di insolite droghe indiane, che ricorda il Blueberry di Jan Kounen.

Un milione di modi per morire nel West è insomma un film pieno di umorismo e di richiami storici raccontati con uno sguardo trasversale e smitizzante. Divertente e coinvolgente, da vedere!

 

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