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Venezia rende omaggio a Frederick Wiseman, Leone d’oro alla carriera alla 71’Mostra del cinema

La mostra del cinema nella sua 71′ edizione rende omaggio al grande documentarista americano, Frederick Wiseman, assegnandogli il Leone d’oro alla carriera.  Classe 1930, ha diretto 41 pellicole di cui 39 sono film documentari. I temi affrontati nei suoi film spaziano dalla commedia alla rappresentazione tragica e dolorosa dell’esperienza umana all’interno di istituzioni sociali contemporanee come i manicomi criminali o i centri di assistenza sociali, un ippodromo o un teatro di cabaret parigino.

“In passato i documentari e i film erano considerati come due forme di espressione distinte, racconta Friederick Wiseman –  mentre negli ultimi anni questo genere di opere non solo è stato praticamente equiparato ma riceve sempre più apprezzamento da parte del pubblico,  per uno che è stato uno dei pionieri non può che far piacere”.

Come è iniziata la sua carriera?

“Ho cominciato leggendo. Ho iniziato a 5 anni e leggo ancora tantissimo. Quando vivevo a Parigi come studente di Legge cominciai a girare film in otto e super otto e da quel momento mi appassionai in maniera inversamente proporzionale alla giurisprudenza, studio che abbandonai da lì a breve.  Alla fine degli anni 60′ cominciai finalmente a girare dei documentari però mi trovavo a Boston mentre la maggior parte dei miei colleghi di allora era a New York, ma non me lo posi come problema sono un solitario e mi è sempre piaciuto vivere isolato”.

Lei oltre che regista è produttore e distributore dei suoi film, ci spiega questa scelta?

In realtà è molto più semplice di quel che si crede, in passato ho ricevuto delle discrete fregatura dai distributori per questo ho deciso di ricorrere al fai da te. In questo modo i diritti di tutti i miei film sono di mia proprietà”.

La gavetta lei l’ha fatta da americano a Parigi, com’era all’epoca la vita che conduceva?

“Era un periodo meraviglioso, riuscivo a vivere con 35 dollari al mese e andavo tanto al cinema e a teatro. In quell’ambiente la vita di fantasia si univa a quella poetica”.

Il suo isolamento volontario le ha reso più difficile le cose?

“Ma no. Quando i documentaristi si riuniscono, parlano di quanto si odiano e invidiano a vicenda, mentre il secondo argomento sono immancabilmente i soldi”.

Entriamo nel vivo della sua opera. Come lavora e cosa cerca di trasmettere?

“Per fare un buon documentario bisogna analizzare il materiale, capire e descrivere i comportamenti. Il film emerge quando la parte tecnica comprende il comportamento delle persone e le dinamiche sociali. Mi piace dare allo spettatore la sensazione di essere presente. Non dico mai cosa penso ma fornisco sempre informazioni sufficienti per farsi un opinione. In generale odio le opere a carattere didattico ed educativo.

Sta lavorando a nuovi documentari?

“Si ho appena deciso di girare un film documentario nel ‘Queens’ a New York un quartiere dove vengono parlate più di 40 lingue. Un’immensa comunità di immigrati che è rappresentativa di tante realtà presenti nelle maggiori città del mondo”.

 

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