Home alcinema Il quinto potere di Bill Condon: web e linguaggio cinematografico

Il quinto potere di Bill Condon: web e linguaggio cinematografico

Il quinto potere di Bill Condon è uno degli ultimi film in ordine cronologico che porta al cinema fatti, storie, personaggi resi celebri dal web. Gli esempi sono tanti e seguono percorsi diversi: ci sono film come The Social Network che raccontano la nascita di social network, di piattaforme cross-mediali destinate a cambiare profondamente le abitudini degli individui; ci sono film che invece preferiscono concentrarsi su chi sta dietro queste realtà, sulle persone che hanno contribuito alla più grande rivoluzione degli ultimi trent’anni; ci sono ancora film politici, sociali, di spionaggio e non ultime le opere nelle quali si apre una riflessione sulle potenzialità della rete e su come la nuova comunicazione digitale possa cambiare il rapporto tra cittadini e governi

Ciò che ancora manca, salvo casi molto rari tra cui per esempio quello di David Fincher, è una riflessione su come il linguaggio del cinema e il linguaggio del web possano trovare un punto di contatto per scrivere un nuovo capitolo nella semiotica dei nuovi media, e sfruttare il digitale con funzionalità diverse da quelle predominanti nei dispositivi di rappresentazione.

Certo, bisogna essere onesti, se l’uscita nelle sale de Il quinto potere può essere al massimo un pretesto per parlare del rapporto tra cinema e web e tra cinema e digitale, nessuno si aspettava da Bill Condon qualcosa di veramente innovativo. Il film riprende uno degli episodi più clamorosi avvenuti sulla rete, il caso Wikileaks, le rivelazioni del suo fondatore Julian Assange che hanno messo in discussione il concetto di segreto di Stato, permettendo con un solo clic di entrare in possesso di documenti riservati. Operazione senza dubbio ambiziosa, certificata anche da quel titolo che a noi italiani riecheggia con un certo disagio Citizen Kane (Quarto Potere) di Orson Welles ma anche Network (Quinto potere) di Sidney Lumet. Ma Condon, ahimè, non è né Welles né Lumet e il film finisce per diventare un ibrido che manifesta debolezze sia su un registro puramente narrativo sia sul piano del linguaggio cinematografico, in parte denuncia politica, in parte pamphlet psicologico sul suo personaggio principale.

Ma, se come ama ripetere Assange ai suoi seguaci, il coraggio è contagioso, forse a questo cinema manca il coraggio di confrontarsi con le potenzialità del web e del digitale, per avviare una nuova fase cinematografica. Se da un lato, come già accennato, aumentano i film ispirati a Internet e al suo mondo globale, dall’altro si manifesta una profonda diffidenza nel provare ad assorbire un linguaggio proiettata verso il futuro e oltre la prassi corrente. Finora il digitale è entrato nel cinema sostanzialmente nella fase di realizzazione tecnica del film (ripresa, montaggio, postproduzione e distribuzione), e nei modi della fruizione, con il tramonto della sala e l’affermazione del modello “alla Edison” della visione privata, spesso “disturbata” dalle applicazioni tecnologiche che scandiscono il nostro ritmo quotidiano, dai telefonini agli smartphone, dal suono degli sms alla suoneria delle chiamate.

Ma è a livello visivo che il cinema deve trovare ancora una giusta sintesi tra le istanze della tradizione e la semiotica dei nuovi media. Ci vorrà tempo, dopotutto  il cinema ha già dimostrato di essere capace di assimilare i nuovi linguaggi e piegarli alle sue esigenze. A parte qualche caso isolato, finora nel cinema digitale ha dominato la componente spettacolare, con la realtà che perde peso e concretezza. C’è una rincorsa verso l’autoreferenzialità, verso l’effetto speciale fine a se stesso. Ma il digitale può essere anche altro e il web, che è una delle espressioni più compiute della rivoluzione digitale, è un punto di incontro, un territorio da conoscere e da esplorare. Perché non si può fare come Condon, parlare di Wikileaks con un linguaggio che tende ad escludere l’innovazione e rimanere ancorato a certi film d’azione dei decenni passati. Bisogna mostrare coraggio per andare oltre le classiche risorse del cinema. Che piaccia o no, il presente e il futuro del cinema si chiama digitale. Alexander Sokurov, con Arca Russa, aveva tracciato una strada. In pochi, finora, l’hanno seguita.

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