Home alcinema Lo sciacallo – The Nightcrawler di Dan Gilroy: la recensione

Lo sciacallo – The Nightcrawler di Dan Gilroy: la recensione

“La realtà è più reale in video”. Parole di Lou (Jake Gyllenhaal), ex ladruncolo senza scrupoli e ora improvvisato giornalista freelance che si aggira per le strade di Los Angeles in cerca di incidenti, incendi e omicidi, nella speranza di vendere le riprese alle TV locali.

È il progressivo inabissamento nei meandri più biechi del cinismo, quello di Lou, fino alla definitiva perdita della sensibilità morale. Un Gyllenhaal sorprendentemente convincente, dai tratti distorti in una maschera ipocrita, dalle sembianze fisiognomiche da faina. Rintanato nell’ombra, assale, morde e lacera la carne già putrida con gli artigli di un obiettivo impietoso. Nutrimento e godimento di fronte al dolore degli altri, in una vera e propria estasi orgasmica suggellata dalla visione condivisa con Nina (Rene Russo), lo spietato squalo della notizia, direttrice del network, che rimanda alla Diana Christensen di “Quinto Potere”. Ma quella di Dan Gilroy è una critica allo sciacallaggio televisivo ancora più feroce, priva del surrealismo di Lumet.

La visione della sofferenza diventa spettacolo, snuff movie, sangue e viscere di una bellezza estatica alla vista dei due volti senza occhi, senza anima. Maschere cieche, il cui schermo alle percezioni della realtà diventa l’occhio vitreo della camera. La macchina da presa mette a fuoco il monitor della camera digitale di Lou e sullo sfondo il contesto reale sfocato, irreversibilmente filtrato, catturato e distorto: è la soggettiva dello spietato sciacallo, una soggettiva che si fa psicologica, in una alterazione percettiva dei sensi e del senso delle cose.

Ma la fatale disgregazione, la depravata quanto cosciente alterazione di realtà e finzione arriva al suo grado massimo nel definitivo processo di messa in scena da parte di Lou. Il suo è un “fare regia”, creare situazioni, orchestrare sviluppi narrativi, usando gli elementi del reale come strumenti di un gioco perverso, attori inconsapevoli, pedine sotto l’egida di un regista invisibile che però grava con il suo occhio surrogale sul dramma imminente.

È un’attualissima riflessione sull’odierna deriva dello sguardo, quella che lo sceneggiatore Dan Gilroy (Freejack, Una Bionda sotto scorta, The Bourne Legacy) propone alla sua prima regia. Un film che, idealmente, parte dalla rovinosa situazione di precarietà lavorativa per approdare a ciò che forse è tra le principali cause motrici del decadimento culturale che ha non poca responsabilità in questo regresso inesorabile verso il disumano: l’egemonia massmediale e la morbosa dipendenza dalle immagini, che si traduce in un perenne stato confusivo dell’individuo, sospeso tra realtà e finzione, e per il quale, a volte, “la realtà è più reale in video”.

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