Home festivalcinema Lucca Film Festival 2017 – Firpo di Fernando Caneda: Concorso Cortometraggi

Lucca Film Festival 2017 – Firpo di Fernando Caneda: Concorso Cortometraggi

Mentre il Lucca Film Festival proietta Firpo nel concorso corti curato da Rachele Pollastrini, il regista argentino Fernando Caneda sta lavorando al suo primo lungometraggio, il cui titolo, Espacio-tempo, ci incuriosisce molto se consideriamo le premesse.

Negli anni ottanta, sopratutto attraverso la cultura musicale pop, era frequente subire l’innesto degli stimoli “catodici” con un recupero estetico e formale degli anni 20.

Basta pensare ai videoclip dei Matia Bazar prodotti dalla RAI per promuovere la svolta elettronica di “Tango” e lo spazio virtuale creato dai monitor di Piccio Raffanini, in una combinazione tra estetica futurista e le intuizioni di Nam June Paik.

Questo innesto temporale era frequentissimo e in un periodo in cui si recupera l’era dei synths analogici, si è completamente persa quella cicatrice, forse troppo lontana per essere compresa attraverso il contrasto tra passato e futuro.

Caneda sembra al contrario molto cosciente anche per età anagrafica (è del 1978) e nel ricostruire l’incubo di una comunità orwelliana controllata da dispositivi connettivi, sostituisce il digitale dei tablet con i catodi e il rumore bianco dei vecchi schermi, immergendo il set nei segni di un esoterismo che recupera i motivi grafici e architettonici di Bragaglia, Tofano e Lang.

Per Caneda, Firpo è un’elegia del dialogo, contro una società che ha perso completamente la dimensione del contatto, ma in questo piccolo saggio di fantascienza poetica sbilanciato dalla parte del design, i sentimenti e il calore vengono riattivati dai vecchi dispositivi meccanici, dalle immagini emulsionate,  da una moviola, dai dispositivi a valvola.

Più di una fantasia vintage, ci sembra che Caneda sia interessato a raccontare il desiderio nel momento in cui anche l’immagine, nei suoi infiniti processi di rimediazione, riesce a caricarsi di proprietà aptiche. Schermi da toccare per sentire le vibrazioni elettrostatiche, onde magnetiche che ci attraversano, filamenti incandescenti che  illuminano i nostri volti.

Una suggestiva elegia elettrica illuminata da un fascio digitale, il cui spazio-tempo non è distante dall’aberrazione del Dark City di Proyas, forse il riferimento più adatto per l’intero lavoro di Caneda. In una dimensione ridotta e maggiormente legata alla superficie, ciò che accumuna Firpo al film del cineasta australiano, è la consapevolezza che il cinema digitale, al pari delle tecnologie connettive a cui Caneda si riferisce, è un cinema dove la luce, oltre ai corpi, è di natura informazionale. Per disinnescarlo occorre prendere la scossa.

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