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Martin Eden di Pietro Marcello – Venezia 76, Concorso: recensione

[perfectpullquote align=”full” bordertop=”false” cite=”” link=”” color=”#eda724″ class=”” size=””]Sinossi: Quando il giovane e inesperto lavoratore Martin Eden incontra Elena, la figlia di un industriale e parte di una famiglia benestante, è amore a prima vista. La raffinata donna diventa presto un’ossessione per Martin, perso nella speranza di diventare uno scrittore, per emanciparsi dalle sue umili origini ed infine per sposare Elena. Con grande determinazione, Martin fa in modo di ottenere l’educazione che la sua classe di appartenenza non gli ha mai consentito di ricevere. Con il supporto di Russ Brissenden, intellettuale di sinistra, si troverà presto coinvolto nei circoli socialisti, convergendo verso una rinascita politica che significa anche conflitto diretto con Elena e il suo mondo borghese.[/perfectpullquote]

Montando materiale girato e materiale d’archivio secondo una metrica organizzata per mimetizzare l’uno con l’altro, Pietro Marcello annulla la distanza che separa i documenti visivi del passato dalle costruzioni audiovisive di oggi e scrive un testo che non è coinvolto nella dimensione temporale: la sua riscrittura visiva del Martin Eden di Jack London infatti è un oggetto fuori dal tempo che, pur dentro alla contingenza della narrazione e alle dinamiche della costruzione produttiva del film, usa il potere aspaziale e atemporale della forma cinematografica (che crea tempo e spazio ma non è toccata da nessuno dei due ed è per questo creativa) per universalizzare l’istante del contenuto politico, esistenziale, poetico e sociale.

Questo comune multiplo quantitativo conferisce infatti al racconto di formazione del giovane marinaio aspirante scrittore una fiammeggiante resilienza alla disomogeneità, in grado di chiamare a sé in un unico abbraccio tutte le filiazioni tematiche della narrazione: l’universalizzazione lega su un unico piano la ricorsività fallimentare della lotta di classe e l’alternativa esistenziale della comunione amorosa, il desiderio di conoscenza e l’incastellamento delle elites, la solitudine degli idealisti e la deriva dell’assenza di compromessi.

Il regista non si limita a unire per compattare e gestire la moltitudine di contenuti però, congiunge per rafforzare e contaminare e sovrapporre, in una dissolvenza incrociata in cui tutte le diramazioni di senso diventano un senso solo, introiettato da un corpo reale.

In questo mondo ambiente tematico dove tutto ha le caratteristiche dell’universale, il corpo dell’Eden di Luca Marinelli interpreta il presente dell’emotività, il punto di vista che guarda la vita.

Il suo personaggio inchioda in una dimensione particolare gli universali politici, esistenziali, poetici e sociali, ed è grazie alla sua presenza, alla sua attualità agente che il senso trascendentale si piega nell’individuo, il quadro generale si addensa in un punctum preciso e il dramma del personaggio diventa dramma di una persona che rappresenta altre persone.

La forma quindi annulla i particolari per universalizzare e l’universale si trasforma in particolare, come in un quadro che assume diverso senso dalla distanza da cui lo guardi.

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