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The Pervert’s Guide To Ideology di Sophie Fiennes, la recensione

A darci il benvenuto nel  “deserto del realeSlavoj Žižek torna per la seconda volta con la regista Sophie Fiennes, a sei anni da The pervert’s guide to cinema, e propone una nuova guida, The perverts guide to ideology, ultimato presso gli Ardmore Studios in Irlanda e presentato in prima mondiale a Toronto e più recentemente al Torino Film Festival.
Žižek,
filosofo, cineasta, infaticabile provocatore, stravolge il nostro sguardo sulla realtà con riferimenti tangibili alla cronaca viva e pulsante di tutti i giorni e alla storia secolare, da Cristo sulla croce in poi. Quindi, all’improvviso, s’impenna  in vertiginosi voli argomentativi e li condisce di sulfurea ironia. Maneggia gli ardui strumenti della filosofia con la cura dell’accademico consumato, poi parte con piccozza e lumicino per immersioni febbrili nella materia putrida e nei residui fossili della civiltà, scava nel mucchio e porta alla luce il reperto, gridando che il re, come al solito, è nudo.
Nella prima guida aveva analizzato alcune fra le storie più famose del cinema, e il coraggio speculativo, misto ad un inesauribile senso dell’umorismo, l’avevano portato a concludere che: “Il problema per noi non è: i nostri desideri sono soddisfatti o no? Il problema è: come facciamo a sapere ciò che desideriamo? Non c’è nulla di spontaneo, nulla di naturale nel desiderio umano. I nostri desideri sono artificiali. Abbiamo bisogno di farci insegnare come desiderare. Il cinema è la suprema arte pervertita: non ti dà ciò che  desideri, ti dice come devi desiderare”.

Ora si spinge ancora più avanti e, scegliendo tra film e film, spaziando fra libri e antichi codici sapienziali, muovendosi tra Giobbe e Walter Bejamin, senza mai dimenticare il prediletto Lacan, ci dice sulle ideologie cose illuminanti e definitive. A partire da questa: “L’ideologia è un contenitore vuoto aperto a tutti i significati possibili” ( tutte le citazioni, ove non diversamente specificato, sono tratte da Slavoj Žižek, Benvenuti nel deserto del reale, ed. Meltemi, Roma 2002 )

Muovendosi dalla psicanalisi e dimostrando in vario modo come un veicolo di propaganda si annidi facilmente sotto sembianze del tutto insospettabili, mentre “la vita reale si rovescia in uno spettacolo teatrale”, Žižek non fa un film filosofico ma usa la filosofia per guardare un film, aggiunge un po’ di sociologia e antropologia e, con una dose giusta di training psicanalitico, consegna il tutto alla regia riflessiva della Fiennes.
Attenta ad un montaggio abile a creare continuità tra l’assunto concettuale e la rielaborazione visiva, così che uomini, cose e idee trovino una collocazione ideale per la rappresentazione sullo schermo, Sophie Fiennes distribuisce con mano sicura i modelli scelti dal filosofo. Utilizza spezzoni da Carpenter (Essi vivono), ci porta nel Korova Milk Bar di Arancia meccanica, o nel severo chiostro di Tutti insieme appassionatamente, passa per Full Metal Jacket, Taxi Driver, Il cavaliere oscuro, Jaws, Il trionfo della volontà e Titanic, non dimentica Sentieri selvaggi, M*A*S*H e Amori di una bionda, fa una capatina in Brasile e su L’ultima tentazione di Cristo ci lascia meditare a lungo.
Alla rielaborazione filmica della realtà Žižek mescola con cura documenti d’archivio dei grandi momenti della storia dell’ultimo secolo, e dalle parate sotto la Porta di Brandeburgo ai deliranti video di Al Jazeera, con lo smunto e febbrile Bin Laden che conciona contro il perfido Occidente, nulla manca. La Piazza Rossa e Tien An Men, Stalin, Hitler e Lenin, Vietnam e Sarajevo, ogni pezzo del secolo che è stato possibile registrare è messo in mostra. Il resto lo dice il cinema.
Termometro ideale per misurare il tasso di de-materializzazione esistenziale nella vita della comunità e buon osservatorio del collasso psicotico in atto, il potere del cinema di “alimentare i sogni e modellare i nostri desideri” riaffiora anche stavolta, con ampio repertorio di esempi e dimostrazioni. Se è vero che l’immagine è entrata nella realtà al punto da alterarne la percezione, così che viviamo la “realtà reale” come “entità virtuale”, Žižek smentisce categoricamente come falsificazione ideologica il fatto che esista un bisogno di “ritorno alla realtà” come contrappeso alla virtualizzazione massiccia del reale in atto. “Il Reale che ritorna ha la forma di un’ (altra) apparenza”, afferma il filosofo, e la vicenda del World Trade Center, nell’illuminante analisi fatta nel corrosivo “Benvenuti nel deserto del reale” lo dimostra.

“Non è successo qualcosa di simile a New York l’11 settembre? I suoi abitanti sono entrati nel «deserto del reale» mentre a noi, corrotti da Hollywood, il panorama e le scene che abbiamo visto delle torri che crollavano non potevano che far venire in mente le scene mozzafiato delle grandi produzioni di film catastrofici”  Da qui a parlare dei film di propaganda nazista, dei  tumulti di Londra o degli spot della Coca-Cola il passo è breve. Le immagini comunicano a livello subliminale attraverso sottotesti invisibili, le dimostrazioni sono tante e convincenti. Su questa strada c’è il cinema, che riesce alla perfezione nella manipolazione delle idee. Le masse sono plasmabili come molle plastilina, ben lo sapeva Goebbels, genio della cosiddetta “popular culture”, che poco mancò dal fare l’Europa unita sotto la bandiera del Terzo Reich.

Žižek va avanti infaticabile per oltre due ore, appare sullo schermo vestito da operaio o da prete, da Guardia Rossa o da esploratore del deserto, ci guarda dritto negli occhi e parla scandendo ogni parola, e ognuna di esse fa centro, come una freccetta lanciata da un campione. Ma non è un guru, è un grande dissacratore, con quella faccia a mezzo fra scaricatore di porto e prof. un po’ suonato di fisica nucleare o filosofia.
Sul dominio dell’ideologia, su che cos’è, sui riti e i miti del nostro mondo, sulle falsificazioni e le mode indotte, le tirannie occulte  e il dominio del virtuale dice tutto e il contrario di tutto. Quando siamo ad un passo dall’aver capito, ribalta il tavolo e scombina le carte. Allora ripartiamo e guardiamo meglio, mettiamo gli occhiali magici di John Nada, l’uomo “nessuno” di Essi vivono e facciamo belle scoperte leggendo su un cartellone pubblicitario “Obbedite” invece che “Se Colgate tu userai, un sorriso bello avrai”.
Cinema e televisione non sono oggetti innocui, Žižek non è il primo a dirlo, ma è dove vuol arrivare e come lo fa che conta, quella capacità che ha di dimostrarlo usando gli stessi mezzi contro cui ci mette in guardia, demistificandoli. L’universo utilitarista del capitalismo appare in tutta la sua indistruttibile capacità di de-materializzare il reale e farne un suo giocattolo.

Nonostante abbiate votato una democrazia, noi facciamo di te quello che vogliamo

Film complesso, durissimo, affascinante e indimenticabile, con le sue continue dimostrazioni, equazioni perfette, lucide come uno specchio dentro cui guardiamo e ci scopriamo. L’ultimo messaggio è lasciato come un post it , se ci va è lì: “Se vogliamo riprenderci  la nostra libertà, riscattiamo tutte le rivoluzioni fallite del passato. Le ombre di quegli uomini vagano senza pace, diamo loro una giusta sepoltura”.

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