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30° Torino film Festival – Až Do Mesta Aš di Iveta Grófová (Repubblica Ceca, 2012) – Concorso

Dorota si è appena diplomata, ma il piccolo paese che la ospita non le offre nessuna possibilità di lavoro. Decide quindi, come molti suoi connazionali, di emigrare dalla Slovenia verso la Repubblica Ceca in cerca di fortuna. Riesce a trovare lavoro come sarta presso un’industria tessile che realizza cappotti, e alloggia in uno squallido caseggiato in periferia. La ragazza cerca anche di divertirsi nell’inospitale città di – nonostante le possibilità che offre la città siano veramente poche – mentre confida ogni giorno nell’arrivo del suo amato fidanzato dalla Slovenia. Verrà però licenziata per aver dormito sul posto di lavoro, e, trovandosi con le spalle al muro, inizierà a prostituirsi per denaro.

Až Do Mesta Aš è una lenta e inesorabile discesa all’inferno, «in cui i sogni – come afferma la stessa regista, Iveta Grófová – si trasformano in cenere». Il film utilizza uno stile spoglio ed essenziale, quasi semi-documentaristico, in cui si inseriscono sovente elementi “estranei” come i disegni animati in stop-motion, necessari per concretizzare i sogni (infranti) della giovane Dorota. La ragazza spera in un futuro impossibile, idilliaco, a fianco del suo ragazzo, un “principe azzurro” che chiama ripetutamente, ogni giorno, sul telefono cellulare. Della famiglia non ne vuole più sapere: la madre non si cura affatto della figlia, che liquida in poche parole prima della partenza, ed evita di chiamarla o di darle economicamente una mano. La vita, in Repubblica Ceca, è più dura di quanto Dorota si aspettava. L’integrazione è difficile per lei, che non conosce la lingua – viene anche cacciata da un negozio cinese perché è incapace a relazionarsi con i clienti -, e finisce per “vendere” il suo giovane corpo ad annoiati signori di mezza età, stufi delle proprie mogli.

Il film rimarca continuamente lo squallore della vita della ragazza, gettando uno sguardo “indagatore” su luoghi che Dorota viene a contatto: ambienti e oggetti in disuso, corrosi dal tempo, e che si contrappongono alla vitalità della ragazza. L’utilizzo intensivo di dettagli è finalizzato proprio a rimarcare le pessime condizioni di vita di Dorota, soffermandosi più di una volta su soffitti scrostati, docce arrugginite, materassi bucati.

Eppure, il notevole interesse che suscita il film per questa analisi sociale così sentita si scontra con una certa approssimazione sul versante narrativo. Až Do Mesta Aš, infatti, procede in maniera poco equilibrata, creando dei vuoti narrativi che più che “aprire” la narrazione, la rendono semplicemente irregolare e incostante. Ed è un peccato, perché i motivi di interesse del film sono molteplici. Oltre a mostrarci uno spaccato sociale sincero nella sua durezza, il film ha il pregio di evitare qualsivoglia retorica, per consegnarci un film puro ed essenziale, quasi rosselliniano. Un film dove, nei sogni, le ragazze si possono trasformare in splendidi unicorni, ma che, nella realtà, come nella fantasia, finiscono sconfitte, da mostruosi orchi senza cuore.

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