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Amour di Michael Haneke

Un dolente dramma da camera per Michael Haneke, palma d'oro a Cannes 2012 e nelle sale Italiane in questi giorni

Luogo per eccellenza dell’esplosione della violenza (“Funny Games”) o antro in cui si consumano segreti e punizioni (“Il nastro bianco”), in “Amour” la casa diventa lo spazio dell’amore e della memoria condivisa di una coppia di anziani insegnanti di musica. Un dolente dramma da camera per Michael Haneke, che vince al Festival di Cannes dopo la Palma d’oro del 2009, mettendo in scena il lento scivolare verso la morte di Anne (Emmanuelle Riva). Improvvisamente colpita da una malattia invalidante, la donna continua a essere il centro gravitazionale dell’esistenza del marito ottantenne, che le si dedica notte e giorno, consapevole dell’inesorabile declino che l’attende. Al cuore della pellicola c’è la naturale presa di coscienza dell’inevitabilità della fine e della vanità della lotta. L’amore assoluto di un uomo affaticato e non la speranza della guarigione giustificano l’atto della cura, dell’attenzione fisica e psichica alla vita che si spegne. Con una sceneggiatura attenta a evitare ogni eccesso melodrammatico, Haneke applica al mutarsi delle consuetudini di una coppia il suo sguardo da entomologo. Sguardi, gesti appena abbozzati, movimenti affaticati tradiscono la forza dell’uragano interiore che attraversa in due protagonisti, ciascuno chiuso nel proprio personale dolore, e al tempo stesso attento a proseguire un ininterrotto dialogo con l’altro. Rinchiusi nello spazio di tre stanze, due icone del cinema francese, Jean-Louis Trintignant ed Emmanuelle Riva, riempiono lo schermo, riflettendo sui loro volti la fenomenologia della fine. La vecchiaia è anche la perdita del mondo circostante, la separazione degli individui da un contesto di cui progressivamente si perdono le tracce. Dall’esterno arrivano solo flebili richiami. Marito e moglie, uniti da sempre dalla passione per la musica – arte esclusiva ed estraniante – rimangono soli con se stessi, al fondo consapevoli di come nessun altro possa capirli. Georges allontana figlia (Isabelle Huppert, imprigionata per contrasto in un matrimonio difficile) e infermiera, rifiutando il pragmatismo di chi vede in Anne soltanto una donna anziana bisognosa di cure. La formazione teatrale di Haneke traspare nella calibratissima organizzazione spaziale (fotografia di Darius Khondij), nella capacità di fare interagire i due protagonisti con l’ambiente circostante, con la casa come spazio della vita e della morte, fra simbologie sfumate (il piccione che entra ed esce dall’appartamento) e tocchi di umorismo.

RASSEGNA PANORAMICA
Voto
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Sofia Bonicalzi è nata a Milano nel 1987. Laureatasi in filosofia nel 2009 è da sempre grande appassionata di cinema e di letteratura. Dal 2010, in seguito alla partecipazione a workshop e seminari, collabora con alcune testate on line.
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