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Il diavolo nell’occhio: La Terza madre – di Dario Argento

I due bellissimi episodi diretti da Dario Argento per Master of Horror, pervasi da un lirismo gore disperato e la deambulazione vertiginosa di Do you Like Hitchcock? penetrano il tessuto mobile de La terza Madre e spaccano in due pezzi una Roma-set gravida di violenze e orrori quotidiani, dove l’occhio di Asia è una soggettiva libera-infinita capace di aprire nuove strade, disvelare spazi e modificarli con un estremismo che è in parte gioco vero e proprio sullo slittamento di senso ma che trasforma lo sguardo nella ricerca impossibile dello stupore, in quello che probabilmente è uno dei film più commoventi e dolorosi di Dario Argento. Madre delle lacrime che prende forma dalla sostanza invisibile della morte, anche in una sequenza tra le più belle del film, dove Asia inonda di pianto le foto di Daria Nicolodi, immagine distante, trasparenza fantasmatica, occhio di conoscenza esoterica che non ha paura di confrontarsi con l’illusionismo e la forma pulviscolare dell’immagine.

E’ un soffio di cipria o il credere davvero di (non) esserci con la forza dell’autosuggestione che ricrea un’immagine-cinema quasi impossibile, una terza dimensione che passa attraverso le increspature dell’invisibile e diventa sovrimpressione sull’orrore documentato per le strade di Roma, tra violenze familiari e morti riconoscibili, quello che vedi non esiste, quello che non vedi è la verità. C’è un percorso privato e rituale nell’ultimo film di Dario Argento, stato di passaggio continuo, nomadismo dell’occhio incarnato da un’Asia Argento splendida e incerta come la mutazione delle emozioni, scansionate nella sublime ironia filosofica di una sequenza straordinaria come quella dell’analisi retinica sull’occhio di Sara, esaminato attraverso una mappatura di segni affettivi dall’esoterista Philippe Leroy; è un momento altissimo che rovescia la polarità di altri occhi Argentiani costretti alla visione dell’orrore, messi in condizione di non chiudersi da un’escatologia della sofferenza che ne la terza madre invade le strade della città.

E’ la sovversione e perversione continua dell’immagine del sacrificio che segna il viaggio terminale di Asia, in una discesa verso la decomposizione che forma una materia immaginale, un set che trapassa come un vortice nella sua versione iperrealista; Asia risorge nel riso dentro lo scenario verissimo della finzione, un aldilà capovolto. Una crepa divide il frame dal fuorischermo e ci risucchia a distanza in un film bellissimo e raro.

Le lacrime coi loro sobbalzi incalzanti abbondavano, sommergevano e risolvevano, facevano valicare il mondo di contrapposizioni, davano accesso all’aldilà

(Elemire Zolla – Discesa all’Ade e Resurrezione)

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