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il profeta – di Jacques Audiard

L’Europa negativa di Jacques Audiard è terribile come l’altra Europa di Teresa Villaverde, ma al viaggio sonnanbulo e in stato di Trance di Ana Moreira,  il regista Francese sostituisce uno sguardo vorace e cannibale avvicinandosi pericolosamente all’incarnazione progressiva di un profeta dell’orrore: il carcere e la Francia, il dentro e il fuori sono la stessa cosa.

Audiard ne svela una fitta tramatura fatta di sovrapposizioni dove lo stato è solo un’ombra e l’unica rivelazione possibile si manifesta con la meticolosa preparazione di un nuovo verbo capace di preconizzare il volto della rivoluzione come rovesciamento diabolico del sogno socialista. L’immagine di chiusura de “il profeta” è un quarto stato beffardo, la processione di un Cristo violento che sopporta una croce capovolta e al contrario di quello di Kazantzakis non ha dubbi, perché è l’inabissamento all’inferno e la conoscenza delle sue regole l’unica via per la redenzione.

Malik El Djebena persegue una purezza antiromantica, un’aderenza “mondana” ad un sistema di regole che ha compromesso le sue radici nelle sabbie mobili del male assoluto. Rendersi servo del crimine, schiavo della sopraffazione, corpo violentato e coperto di segni per apprendere il linguaggio di quelle ecchimosi. E’ un’immagine di ambiguità estrema che porta in seno la fine e un nuovo inizio come fossero brandelli dello stesso corpo; la mutazione antropologica del male che finalmente si stacca e si sfalda dal dissidio manicheo di tutti i post-Scorsesismi digeriti per più di un decennio infrangendo qualsiasi tentazione dualistica e tutte le coordinate morali.

E’ una lucidità oscura quella con cui Audiard affronta i luoghi del romanzo di formazione, riproducendo un dispositivo ad orologeria capace di lanciare una narrazione serrata ed orizzontale per centocinquanta minuti e allo stesso tempo disinnescandone il racconto con la deriva dei dettagli, l’estremismo dei close-up, la proliferazioni di segni, la parola scritta, quell’oggettivismo oltre il reale che attraversa in modo perforante lo schema del sogno per raggiungere la forma estesa del sistema sociale e delle sue superfici.

Una logica Bressoniana in versione estrema che reclama con violenza inaudita l’ateismo nelle immagini del maestro. Opera “scostante”, aliena, assolutamente non riconciliata, il profeta è probabilmente il miglior film di Jacques Audiard; una visione profetica fuori dall’ordinario e completamente “interiore” al corpo decomposto del vecchio continente.

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