Home news Midnight in Paris di Woody Allen

Midnight in Paris di Woody Allen

Prendere lezioni d’amore da Hemingway e attraversare la notte di Parigi con Scott e Zelda Fitzgerald, suggerire a Buñuel la trama dell’”Angelo Sterminatore” e ascoltare Cole Porter che intona “Let’s Fall In Love”. È la Ville Lumière degli spumeggianti anni ’20 il sogno perduto di Gil Pender, sceneggiatore al soldo di Hollywood in vacanza a Parigi al seguito della promessa sposa, americana fino al midollo, e dei suoi ingombranti Tea Party-genitori. Dopo le scorribande londinesi, Woody Allen torna nella capitale francese a quindici anni di distanza da “Tutti dicono I love You”, con un altro film sulla nostalgia e sul desiderio di evasione. Se nel recente “Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni” le illusioni si spegnevano sui volti disfatti e nervosi di fidanzati delusi e galleriste in bancarotta, “Midnight in Paris” è un’esplosione di fantasia che, per una volta, non si rivelerà senza ritorno, offrendo allo stralunato protagonista l’occasione per trovare la sua Itaca. Stanco di girare fra antiquari e degustazioni di vini in compagnia di intellettualoidi e macchiette, Gil scrive e riscrive il suo primo romanzo, ambientato in un negozio di memorabilia («per gente in cerca di bambole di Shirley Temple», per dirla con la fidanzata Inez o, parafrasando il suo pedante accompagnatore, per chi soffre della sindrome dei bei tempi andati). Inutile dire che mentre Gil sogna di passeggiare fra i boulevard alberati e di girare con una baguette per la rive gauche, Inez fantastica sui mobili da giardino della villa a Malibù, incoraggiando il fidanzato a non abbandonare il dorato filone delle pellicole commerciali. In un mondo dove nessuno pare immune da lusinghe e chimere, il segreto sta forse nello scegliersi  le proprie, che siano la Parigi da cartolina illustrata che corre dopo sui titoli di testa o l’America-Big Country vagheggiata dai suoceri invadenti, la belle époque di Degas e Gauguin o il Rinascimento di Michelangelo. Una notte, vagando come un flaneur un po’ alticcio, Gil si imbatte in una vecchia Peugeot diretta a una festa in onore di Jean Cocteau. «Piacere, Ernst Hemingway!» si sentirà dire di lì a poco il nostro eroe, tanto euforico quanto sconvolto. Allucinazioni da sbornia o viaggio nel tempo? Poco importa allo scrittore, in preda a un’estasi creativa che lo porterà ogni notte a rifugiarsi nei ruggenti twentiees parigini, fra fiumi di alcool e  Matisse venduti sottocosto. Per Woody Allen, quasi un ritorno alle origini, lontano dal realismo delle ultime commedie, con un protagonista vagamente imbranato che si lascia prendere la mano dai propri miti, come il critico cinematografico Allan Felix faceva con il fantasma del vecchio Bogie (“Provaci ancora Sam” di Herbert Ross). E, al contrario di quanto accadeva ne “La Rosa purpurea del Cairo”, dove Tom, il protagonista del film, si accorgeva della presenza di Cecilia, la sua spettatrice più assidua, tanto da abbandonare la pellicola per fuggire con lei, in “Midnight in Paris” artisti e scrittori balzano fuori dal loro tempo per catturare lo svagato Gil e trascinarlo con loro in un epoca precedente, sfavillante di stereotipi e di aneddoti gustosi. Così lo scrittore in fuga da Hollywood si innamora di Adriana, la musa di Picasso e di Hemingway, si mette nei pasticci con la fidanzata e sogna una notte con lei, almeno finché non sarà costretto ad accorgersi che ogni fuga è senza fine e che la sua bella sogna invece di ballare il Can Can al Moulin Rouge, nella Parigi della Belle époque, in compagnia di Gauguin e Degas. Il ritorno alla realtà sarà malinconico e frettoloso, ma non tutto è perduto, se l’amore avrà ancora il volto di una passeggiata lungo la Senna, rigorosamente sotto la pioggia.

Exit mobile version