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Post Tenebras Lux di Carlos Reygadas: recensione

Vincitore l’anno scorso della miglior regia al Festival di Cannes, esce in Italia, in pochissime copie, l’ultimo discusso lavoro del cineasta messicano Carlos Reygadas

Vincitore l’anno scorso della miglior regia al Festival di Cannes, esce in Italia, in pochissime copie, l’ultimo discusso lavoro del cineasta messicano Carlos Reygadas, Post Tenebras Lux. Il film – criptico, respingente, affascinante – è un’immersione senza compromessi nell’universo destabilizzante del regista. Un film che lascia lo spettatore nudo di fronte agli enigmi, insoluti e insolubili, che esso pone: perché Reygadas sa che solo nello spettatore, nella sua indipendenza e libertà, possono esserci ancora risposte.

Innanzitutto, il titolo potrebbe risultare fuoriviante: Post Tenebras Lux non è un film religioso. Piuttosto, è un film sul senso di colpa, e più in generale sui misteriosi sentimenti che albergano nell’animo umano. Infatti, il film rifiuta qualunque distinzione tra Bene e Male, benché, in una delle sue sequenze più intense, compaia un bizzarro diavolo stilizzato, sorta di immagine infantile, dai caratteri sessuali evidenti. A Reygadas, piuttosto, interessa concentrarsi sui personaggi, sui loro rapporti: i problemi di coppia tra l’architetto Juan e sua moglie Natalia, il loro rapporto coi figli Rut ed Eleazar, e quello con il «peones» Sette. Questa distinzione in classi è però solo un espediente: a Reygadas poco interessa il discorso politico – più evidente nel cinema del suo collega Amat Escalante -, preferendo concentrarsi su questioni esistenziali, morali, o semplicemente umane. La crisi della coppia, che sfoga come può, le pulsioni sessuali represse; i traumi segnano l’infanzia di Sette, e condizionato la sua vita. Una tensione, sotterranea ma crescente, che esploderà in un climax finale di rara intensità.

Il film è stato affiancato al cinema di Terrence Malick, e le meravigliose immagini di Post Tenebras Lux rinviano di certo all’immacolata e atavica bellezza di quelle del regista americano. La potenza evocativa della sequenza iniziale, con la piccola Rut che corre in una valle alle soglie della foresta, è di una forza evocativa impressionante. Reygadas lavora molto sull’immagine: come Sokurov, egli “sforza” fino al limite la capacità anamorfica e distorcente dell’immagine cinematografica. In Post Tenebras Lux, infatti, il regista utilizza particolari lenti che sfocano e sdoppiano i bordi dell’inquadratura, rimarcando il forte nesso tra l’esperienza cinematografica e quella onirica.

Il film, i cui eventi sono interrotti da continui flash-foward e da sequenze apparentemente scollegate, è, per sua natura, incompleto. Perché il cinema di Reygadas rifiuta qualsivoglia tentativo di dare una risposta: preferisce porre domande. Come nel cinema di Bruno Dumont – cineasta, per altro, amatissimo da Reygadas, che ha distribuito i suoi ultimi film in Messico -, è lo spettatore il vero “fulcro” del suo cinema. Sbaglia allora chi considera, questo, un cinema onanistico e autoreferenziale. È piuttosto una “salvezza” per il nostro sguardo, ormai sopito e anestetizzato da molto cinema contemporaneo. Dopo le tenebre, la luce.

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Nicolò Vigna si è laureato nel 2010 al Dams di Torino, con una tesi sulla questione dello «stile» nel cinema noir post-classico. Collabora da anni con alcune riviste cinematografiche on-line e con la Biblioteca del Museo Nazionale del Cinema di Torino.
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