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Student Services di Emmanuelle Bercot: la recensione

what’s false to you was not false to me
(Blonde Redhead – Ego Maniac Kid)
La diffusione a fine agosto, un pruriginoso divieto ai minori di 18 anni e soprattutto, quella sovrapposizione demenziale tra una comunicazione preoccupata di inventarsi una serie di pre-testi sociologici e un trailer che desume taglio e titolo dalla versione internazionale di Mes chères études, trasformano appunto l’ultimo film diretto da Emmanuelle Bercot in Student Services, oggetto che per i misteriosi processi di marketing improvvisativo legati alle nostre strategie distributive, rischia il corto circuito in un territorio inerte, quello dove consapevolmente si gioca a dadi tra il monito e la sollecitazione.

Eppure, nonostante alcuni inserti apparentemente pulp che flirtano con la superficie delle nuove tecnologie in un modo che sembra molto più appiccicato rispetto, per esempio, al lavoro su forma e linguaggio portato avanti da Ben C. Lucas nel geniale e frattale Wasted on the Young, il nuovo film della Bercot recupera quel rigore feroce che attraversava Clement, film diretto dalla regista Francese nel 2001 e interamente girato in DV, lasciandosi dietro quasi del tutto la deriva pop di Backstage, titolo presentato fuori concorso a Venezia, nel 2005. Tra questi antipodi rimane, in ogni caso, un cinema votato all’esasperazione, all’indagine pornografica dei sentimenti, al rapporto fortunatamente irrisolto tra aderenza e distacco.

La Bercot costruisce, da sempre, dei racconti di formazione negativi, dove il passaggio all’età adulta è un’immagine della violazione, con un avvicinamento elettivo ad alcuni aspetti del cinema di Catherine Breillat rispetto alla quale, la Bercot rivendica un gesto più rozzamente anarchico nella trasformazione del nichilismo in una letterale distruzione del quadro. Sia Clement che Mes chères études chiudono sull’enunciazione del soggetto, qualcosa che invece di disvelare una macchina metalinguistica, la brucia semplicemente scaracchiandoci sopra.

E’ il sottrarsi violento di Clement all’occhio invadente della macchina da presa, al termine del percorso nevrotico-affettivo che confonde il gioco dei suoi tredici anni con le ossessioni di una trentenne, è quel rapporto di violazione continua e reciproca tra la Seigner e la giovanissima Isild Le Besco davanti e dietro al Backstage di un circo mediatico, è ancora, la testimonianza televisiva di Laura (una notevole Déborah François) che rovescia le intenzioni “didattiche” di Mes chères études – Etudiantes, 19 ans, job alimentaire : prostituée, il best seller di Laura D. pubblicato nel 2009 da Max Milo e spunto diretto sul quale la Bercot innesta un’immagine dell’ambiguità ben distante dall’analisi di un fenomeno, più vicina invece a quel territorio difficile che sta a metà tra abuso e desiderio.

Le peregrinazioni di Laura sono delle dolorose psicogeografie dello spazio; tra squallide camere d’albergo, l’arena universitaria e il nido affettivo, dungeon clandestini dove la prevaricazione sostituisce il desiderio, c’è un limen virtuale che attraversa il tessuto connettivo di un racconto sulla perdita di un centro attraverso le parole di Blonde Redhead, Soap&skin, Shannon Wright, torch songs tra sangue e psiche.

 

 

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