Home 3D la terza dimensione Venezia 68 – Zapruder: una riflessione sullo spazio vermeeriano del 3D

Venezia 68 – Zapruder: una riflessione sullo spazio vermeeriano del 3D

E’ giunto alla terza edizione il primo premio internazionale dedicato al 3D; il premio persol 3-D della mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia edizione 2010 è stato attribuito quest’anno a Zapruder Filmmakersgroup, il gruppo di ricerca costituito da David Zamagni, Nadia Ranocchi e Monaldo Moretti, veri e propri esploratori dello spazio stereoscopico e autori di una serie di opere della visione che gli stessi Zapruder definiscono come “Cinema da Camera”, ovvero un cinema dalle caratteristiche aptiche, in grado di rilanciare la visione come esperienza di tipo immersivo. A Venezia gli Zapruder c’erano già stati nelle due edizioni precedenti e soprattutto a Venezia 67 con il loro primo lungometraggio in 3D presentato fuori concorso e intitolato All Inclusive, uno tra i film realizzati con tecnica stereoscopica più interessanti dello scorso anno. Su Indie-eye è da un po’ di tempo, e senza troppo clamore, che affrontiamo la terza dimensione del cinema cercando di esaminare produzioni con una destinazione mainstream a partire da un uso consapevole del 3D che non si definisca semplicemente come una possibilità additiva e non determinante, entro lo spazio definito dal montaggio; era il caso negativo di un film ottimo come Toy Story 3 ma assolutamente di retroguardia nell’uso dello spazio stereoscopico, per il suo essere ancora fortemente legato all’idea di una storia del cinema che mette in relazione fuoco e fuori fuoco, era al contrario l’esperimento stimolante di John Chu con il suo Step Up 3d con quelle invenzioni coreografiche filmate da un occhio fisso e con gli elementi prospettici tutti a fuoco, cosi da lasciare l’occhio libero di interpretare uno spazio che non scaglia oggetti contro lo spettatore. Se il 3D da una parte rischia di subire una battuta d’arresto proprio attraverso la diffusione Mainstream.  sempre meno attenta alla reinvenzione di uno spazio e sempre più interessata a “gonfiare” film nati originariamente in 2D nel nuovo formato stereoscopico, giusto per riempire le sale (è il caso dell’ultimo Harry Potter), i pochi esempi di cinema indipendente che si muovono su questi territori potrebbero stimolare una riapertura del dibattito sulla sopravvivenza del formato a partire dalla sua intima natura visionaria, e da una specificità che può esistere solo se si ha il coraggio di inventarsela. La produzione degli Zapruder è un esempio raro in tal senso e non solo per il cinema Italiano, All Inclusive, noir espanso che sfruttava gli spazi di un albergo con una percezione acuminata dei ritmi e del tempo della provincia, chiariva in modo molto preciso la consapevolezza del gruppo Emiliano sulla cornice 3D, un dispositivo che getta l’occhio dello spettatore in profondità, in una dimensione contemplativa che non può essere sorpresa o facilmente disinnescata da oggetti vomitati verso la sala, ma che colloca lo spettatore oltre lo schermo, come in un Vermeer fantascientifico. E’ un cinema, quello degli Zapruder, in grado di mettere a fuoco il dettaglio con una capacità di costruire un infinita trama di relazioni tra i numerosi livelli scopici; ne sono una conferma i tre corti presentati durante la serata di assegnazione del Premio Persol 3-D; Joule, unità di misura del lavoro e dell’energia, è per gli Zapruder un atto performativo di tipo rituale, quadro che definisce la natura ibrida dell’immagine, dove dalla video arte viene desunta l’attenzione al segno e dal cinema le potenzialità di scolpire il tempo mediante l’esplorazione dello spazio. I quadri di Joule sono fissi, procedono dall’esercizio fisico fino alle dinamiche provincial popolari della sala giochi, entrambi collocano il movimento ad un livello performativo, ma permettono all’occhio di cambiare costantemente le linee di forza, costringendolo ad un montaggio attivo tra gli oggetti che delineano il piano sequenza come una frizione, finalmente percepibile, tra durata e possibilità aptiche dello spazio. La serie The Spell è costituita da due luongometraggi, il primo dei quali, intitolato The Hypnotist Dog, combina la prospettiva frontale della testimonianza documentale con la sorprendente ingenuità del gioco di prestigio e con uno stupore vicino al cinema delle origini; Werner Hirsch è il padrone di Oscar, un cane con capacità divinatorie, attraverso il racconto del master coadiuvato da una prova sperimentale, gli Zapruder collocano questi corpi iper-realisti in uno spazio frattale, una visione palindroma che si manifesta in tutta la sua forza nel secondo episodio della serie, Suite, dove uno spazio molto simile a quello di All Inclusive, si apre ad una visione infinita, spalancando una finestra dentro il quadro e capovolgendo il punto di vista verso la direzione opposta; questo cinema espanso potrebbe in effetti non finire mai.

 

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