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Il Campione di Leonardo D’agostini: la recensione

Il campione di Leonardo D'Agostini
Il campione di Leonardo D'Agostini

Raccontando il mondo del calcio da una prospettiva laterale e marginale, Il Campione riesce a non trasformare un presupposto ambientale fragile in un elemento di ridicolo involontario e a piegare a suo favore uno sport che si è dimostrato spesso incomprensibile per la drammaturgia cinematografica. Il film segue infatti, all’interno di una cornice sportiva fortemente connotata, la progressione di una storia di crescita identitaria, a cui la dinamica del pallone dona in più la famigliarità del contesto e una aggiunta nella stratificazione di senso.

La storia di Christian Ferro giovanissimo fuoriclasse della Roma che, a causa dei suoi comportamenti, per poter giocare è costretto dalla società a passare la maturità, si svolge infatti nel mondo delle partite, degli allenamenti e delle società sportive , ma è interessata alla prospettiva di un personaggio estraneo al contesto: il professore di lettere e filosofia interpretato da Stefano Accorsi, che deve aiutare il ragazzo a studiare e a comprendere il senso della sua passione, cercando di trovare il giusto metodo di insegnamento e superando un passato infelice.

Il film, a livello strutturale, gioca le carte migliori puntando sulla chimica tra il protagonista – interpretato da Andrea Caperzano, lanciato volto del cinema italiano, che presta personalità al personaggio – e la sua spalla, un Accorsi trafelato e scomposto, con un inconscio che si svela piano piano.

Il racconto esiste quasi in toto grazie alla partecipazione del primo e al lavoro interpretativo, di supporto, del secondo: la natura del loro incontro è esaltata da diverse forme di recitazione che sembrano accentuare le differenze di due caratteri molto lontani e invece ragionano entrambe sulla timidezza e sulla solitudine di chi ha perso qualcosa e ha paura di ricominciare. La loro complicità guadagna l’investimento emotivo nel film, mentre la pesantezza del ritmo emozionale della drammaturgia, irrigidito negli schemi fissi della commedia a buoni sentimenti, è mitigata in sceneggiatura da una satira leggera ma non poco lucida sulle tipologie di male morale esistenti nel mondo del calcio – dal procuratore ossessionato dalla monetizzazione del corpo di Cristian alla galleria di approfittatori parassitari legati ai soldi e all’apparenza del ragazzo.

[perfectpullquote align=”full” bordertop=”false” cite=”” link=”” color=”#d38613″ class=”” size=””]La bontà della chimica tra i due attori e lo sguardo sulle tipologie umane dell’universo calcistico conferiscono ragione d’essere a un film, diretto dall’esordiente Leonardo D’Agostini, che non è particolarmente connotato in termini di regia ed esiste più grazie all’organizzazione produttiva.[/perfectpullquote]

La dichiarata ripresa delle strategie emotive della commedia americana anni 80’ fanno del prodotto non tanto un gesto cinematografico sincero quanto un’operazione commerciale, composta con intelligenza dalla gestione di Sydney Sibilia e Matteo Rovere – che ripropongono la dinamica allievo-maestro (con giovane promessa e attore navigato) di Veloce come il vento: la direzionalità commerciale però non guasta perché è mossa da produttori intenzionati a cambiare dall’interno il cinema italiano, diversificando le proposte e i generi. Il prodotto strappa quindi un assenso genuino, accentuato dalle qualità comunque presenti e dal coraggio nel cercare di raccontare il mondo del primo sport italiano attraverso la storia di due persone immobilizzate dalla paura di vincere.

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