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The Oak Room di Cody Cahan

Nuovo film per il canadese Cody Cahan, ambientato in un pub dove un avventore lontano ricomparso in quei luoghi dopo anni, racconterà una serie di storie inanellate, come bizzarro baratto in cambio di un debito da saldare. Presentato al Torino Film Festival 38

The Oak Room è il nuovo lavoro del regista canadese Cody Cahan, noto per titoli come Antisocial e Let Her Out. Nel film Steve, interpretato da RJ Mitte, ricompare dopo anni di lontananza, presentandosi nel locale appena chiuso di Paul e rifugiandosi da una bufera. Deve saldare un debito al proprietario e ad un uomo misterioso, già in transito attraverso la contea per riscuotere ciò che gli spetta. La proposta di risarcimento che Steve propone a Paul è quella di raccontagli una storia. Il proprietario del pub non è affatto entusiasta, ma il racconto inizia, durante riapparso dopo anni di lontananza, si presenta nel locale, appena chiuso, di Paul. Ha un debito da ripagare a Paul e a un altro uomo misterioso, che sta attraverso la contea per venire a riscuotere ciò che gli è dovuto. Steve propone al barista di risarcirlo con una storia. L’uomo non ne è entusiasta, ma il racconto inizia: durante un’altra bufera in un altro locale appena chiuso…
Da questo momento inizieranno a prendere vita tante diverse storie, ognuna delle quali ne conterrà un’altra, tutte collegate tra loro.

The Oak Room di Cody Cahan, la recensione del film presentato al Torino Film Festival 2020

Girato in due pub e qualche esterno innevato, The Oak Room di Cody Calahan è un piccolo film, molto teorico e altrettanto compiaciuto. La metafora che meglio visualizza la struttura del film è botanica: una pianta da cui sbocciano sempre nuovi fiori, ognuno dei quali è una storia o una porzione di un’altra storia.

Ma The Oak Room è un film cupo, cupissimo. In senso proprio: buio. Dall’oscurità che avvolge ogni luogo emergono, a stento, pochi dettagli: una bottiglia, un volto, un’insegna; e basta un attimo perché spariscano di nuovo.

Difficile associare ad un film con questi toni la vita dei fiori, il cui nutrimento è la luce. Piuttosto le storie delle quali si compone The Oak Room sembrano sagome che si intravedono di notte, come fantasmi, e come fantasmi notturni appaiono e scompaiono davanti agli occhi degli spettatori.

Oltre a raccontarsi storie, i personaggi di Calahan parlano di quelle storie, evidenziandone qualità e punti deboli. L’intento meta-narrativo è più che evidente: storia di storie che riflette sul raccontarle. In alcuni momenti questa dinamica si fa molto esplicita e lineare, e sembra di trovarsi davanti a un saggio di diploma per una qualche scuola di cinema, in cui l’autore ha un po’ troppa voglia di far vedere come abbia compreso i principi della narratologia.

Per fortuna l’intreccio di racconti crea un buon intreccio narrativo, e tra una storia che si aggancia all’altra è difficile pensare che il pubblico non sia curioso di sapere come tutto si risolverà. L’atmosfera è sospesa, tesa, e la costruzione della suspense efficace. Senza far spoiler, lo scioglimento della vicenda potrebbe deludere, perché Calahan sceglie la strada più semplice. Nonostante questo, trova una sua coerenza interna, in un mondo fatto di infinite storie come quello del suo film.

Stiamo parlando di un’opera fondata sul racconto orale, quindi sulla scrittura. È indubbio che lo sceneggiatore Peter Genoway, alla sua prima prova con il lungometraggio, si sia molto divertito a scrivere The Oak Room e gli va riconosciuta la capacità di combinare la voglia di far sfoggio della propria competenza teorica con l’intrattenimento.

Calahan mette comunque del proprio nella costruzione scenica, per la quale deve molto al direttore della fotografia, il sodale Jeff Maher con cui lavora dal primo Antisocial, le cui scelte radicali fanno di The Oak Room un film sull’ipovisione.

The Oak Room è un ottimo lavoro di squadra, colto e consapevole di esserlo, pensato però non solo per gli studiosi di narrativa, ma per un pubblico più ampio. Un piccolo thriller ben riuscito

The Oak Room di Cody Cahan – Canada 2020 – 89 min
Interpreti: RJ Mitte, Peter Outerbridge, Ari Millen, Nicholas Campbell, Martin Roach, David Ferry, Avery Esteves, Coal Campbell
Sceneggiatura: Peter Genoway
Fotografia: Jeff Maher
Montaggio: Mike Gallant

RASSEGNA PANORAMICA
Voto
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Marcello Bonini nasce a Bologna nel 1989. Insegnante, fa il montatore per vivere. Critico Cinematografico, ha scritto per diverse riviste di cinema e pubblicato una raccolta di racconti. Fa teatro e gira cortometraggi.
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