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Berlinale 2013 – Concorso – The Necessary Death Of Charlie Countryman di Fredrik Bond (Usa, 2013)

Fredrik Bond è un richiesto regista di commercial con all’attivo una serie di realizzazioni prodotte per marchi come Heineken, Huggies, MacDonald, Sara Lee. Buona parte dei suoi spot sono legati alle forme più disparate del lifestyle giovanile vissuto a tutta velocità, che Bond concentra in piccoli dispositivi narrativi della durata di un minuto scarso,  tanto che il suo debutto cinematografico, per l’uso insistito della voice over, l’abuso di improvvise accellerazioni e decelerazioni e una schizofrenia degna di un vj sotto metanfetamine, sembra una versione estesa della pubblicità che ha prodotto per Puma (Live life, don’t watch it). The Necessary Death Of Charlie Countryman, scritto insieme a Matt Drake (sua la sceneggiatura di Project X  film di Nima Nourizadeh su un party selvaggio che si trasforma in un vero e proprio inferno e che ha più di un punto di contatto con il debutto di Bond) innesca un meccanismo spiraliforme a partire dalla morte della madre di Charlie (interpretata da Melissa Leo); questa appare al figlio  (Shia Labeuf) sotto forma di visione, subito dopo la dipartita e lo spinge a recarsi a Bucarest per andare incontro al suo destino. La sua vita subirà un brusco crescendo dopo l’incontro con una violoncellista del luogo, Gabi (Evan Rachel Wood) di cui si innamora istantaneamente per poi trovarsi invischiato in una confusa storia di traffici illegali, prostituzione, violenza e sesso dove a farla da padroni sono Nigel (un monolitico Mads Mikkelsen) fidanzato di Gabi e un faccendiere dai modi spicci chiamato Darko (Til Schweiger). Bond non sceglie una strada così lineare come lascerebbe intendere questa breve sintesi, ma gioca con una metafisica del caso di terza mano che sembra una versione ancora più pasticciata del Mr. Nobody di Jaco Van Dormael. Se entrambi sono titoli che stressano il concetto di film confezionato per i festival ad un livello talmente basso da ricondurre tutto verso una trivialissima prevedibilità senza alcun mordente, il film di Bond fa davvero del suo megglio per peggiorare le cose cercando  di esorcizzare questo appiattimento in un continuo “non prendersi sul serio” che indirizza ossessivamente verso lo spettatore tutte le possibilità di disinnesco del dispositivo; tra tutte basterà ricordare la battuta della madre di Charlie, che tornata nuovamente sotto forma di visione, confessa al figlio di aver fatto un mispelling tra Bucarest e Budapest, inviandolo così all’appuntamento sbagliato con il destino. Inutile inanellare modelli (da Tykwer a Luhrmann giusto per rimanere in superficie) perchè Bond li ha già maciullati in un format post-televisivo che perde tutto il fascino astratto e allusivo del peggior advertising possibile.

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