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Loin des hommes di David Oelhoffen – Venezia 71, concorso

Lo dice lo stesso David Oelhoffen; la lettura del racconto di Albert Camus intitolato L’ospite che ha ispirato il suo nuovo Loin Des Hommes, lo ha spinto ad immaginare l’atmosfera di un western non convenzionale. E nel viaggio di Daru, insegnante francese nell’algeria del ’54, insieme a Mohamed, un nativo accusato di aver ucciso suo cugino, c’è molto di quella rilettura del viaggio di frontiera affrontata da autori come Monte Hellman. Oelhoffen esalta le qualità del paesaggio algerino, sviluppando il film tra le rocce desertiche della catena montuosa dell’Atlante, riducendo l’azione al minimo, giocando sulla lentezza e sulla pesantezza del cammino e sopratutto sviluppando un’imponente ed estenuante anti-epica. Un effetto straniante che nel cancellare la memoria di un genere usandone gli elementi in un contesto storico completamente diverso, rende la dimensione temporale sospesa e inafferrabile, avvicinando la lotta per l’indipendenza dell’Algeria alla storia contemporanea del medioriente, grazie all’orizzonte negativo e preformale del deserto e al modo essenziale in cui utilizza la relazione tra spazio e personaggi. Immerso nella  musica lunare di Nick Cave e Warren Ellis, molto vicina a tutta l’ultima produzione per il cinema del duo, ibrido tra suoni delle radici e astrazione ambient, il film non indugia sulle motivazioni e gli aspetti psicologici, descrivendo la stessa solitudine vissuta dai protagonisti di Nos Retrouvailles, il precedente film diretto dal regista Francese. Daru (Viggo Mortensen) è un insegnante francofono stanziato in algeria, dove svolge la sua attività in una scuola circondata dalle rocce, gli viene affidato Mohamed (Reda Kateb), un algerino accusato di omicidio e che dovrà essere assicurato alla giustizia; Daru avrà il compito di scortarlo fino a destinazione, proteggendolo da qualsiasi tentativo di giustizia sommaria. La conoscenza profonda della cultura Mussulmana da parte dell’insegnate, lo spinge ad assumere una posizione garantista e decisa; non si tratta di salvare l’algerino da morte certa, destino previsto dalla legge, ma di assicurare che non si verifichi nessuna vendetta. Mentre fuori comincia ad esplodere la rivolta indipendentista, il viaggio dei due si farà difficile, tra le rocce di un paesaggio inospitale e una serie di figure che metteranno a repentaglio le loro vite. Oelhoffen depotenzia l’azione, restituendoci la durezza dell’ambiente, tanto da trasformare l’immagine stessa in roccia, sfondo davanti al quale nasce un rapporto di fratellanza e di conoscenza che spezzando barriere e confini culturali, consentirà a due uomini di scegliere una strada personale e diversa. Con un minimalismo asciutto, rigorosissimo, a tratti ipnotico, Loin Des Hommes non cede alla tentazione di tradurre le istanze esistenzialiste del racconto di Camus in un’analisi dettagliata delle loro psicologie, al contrario ci induce ad interpretare il silenzio e l’immutabilità delle pietre del paesaggio, eliminando qualsiasi appiglio simbolico e consentendoci di riempire quello spazio bianco.

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