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Ali di tela di Chiara Andrich e Giovanni Pellegrini: la recensione

 

He raised a mortal to the sky, she drew an angel down

John Dryden, The power of music

Lentamente la tela bianco/azzurra appoggiata sulle pietre grigie del pendio si gonfia di vento e si solleva. E’ l’incipit di Ali di tela. Fili colorati si tendono sottili sullo sfondo del cielo, la grande ala curva di un deltaplano si alza in volo, un uomo la guida e si allontana verso il mare, supera la linea di costa. Ha catturato il vento. Ali di tela parla di Angelo D’Arrigo, un uomo che è stato molto più del campione mondiale di volo protagonista di imprese strabilianti, istruttore di volo, maestro di sci e guida alpina. Morto a 45 anni nel 2006, durante un volo dimostrativo dalle parti di Comiso, nei suoi piani la tappa successiva sarebbe stata l’Antartide e si stava preparando con l’impegno e la passione che gli avevano fatto vincere le sfide più estreme. Ultima, la trasvolata dell’Everest in deltaplano, la mitica ala Stratos, 4 ore e mezzo di volo superando gli 8900 metri di quota. Ora è il tempo del ricordo.

Una piccola casa di produzione, la Pinup Filmaking, ha affidato a Chiara Andrich e Giovanni Pellegrini l’impegno di entrare nel mondo di Angelo con qualcosa che non è solo commemorazione, racconto di una storia ormai conclusa.Giovani autori con alle spalle una storia interessante e pluripremiata nella regia di documentari, hanno lavorato in Sicilia dove vivono la famiglia, i collaboratori e gli amici che parlano di Angelo come di un compagno sempre presente. Scandito da magnifiche sequenze di volo in parapendio e in deltaplano, con Ali di tela rivive il fascino magnetico di uno di quei momenti in cui la storia dell’uomo diventa mito. Non a caso è Icaro il nome che torna, e l’apertura è affidata alle parole di Leonardo:

Una volta che abbiate conosciuto il volo, camminerete sulla terra guardando il cielo, perché là siete stati e là desidererete tornare”.

Quella di Angelo D’Arrigo è stata Une histoire de vent, come fu per il grande Joris Ivens, documentarista olandese che “… ha percorso il XX secolo, con una cinepresa in mano, tra le tempeste della nostra storia. Al tramonto della sua vita, a 90 anni, dopo essere sopravvissuto a tutte le guerre che ha ripreso, il vecchio cineasta parte per la Cina. Ha maturato un progetto folle: catturare l’immagine invisibile del vento”. Angelo si è fatto sollevare dal vento sopra le montagne più alte, ha portato con sé gli uccelli più nobili, ha imitato il loro volo ma ha anche insegnato loro a volare, come allo stormo di gru siberiane guidate in un percorso di 5.300 chilometri dall’Artico al Mar Caspio, attraverso la Siberia, per reintrodurle nel loro ambiente naturale.

Era soprannominato “Condor” per aver sorvolato le Ande peruviane studiando quei rapaci, e chi lo conosceva racconta che riusciva a captare anche il soffio più lieve di vento, le correnti più invisibili, quelle che sfuggivano a tutti. Il vento era la sua casa, il suo respiro, perché “il segreto del respiro sta nel ritmo del vento”.  C’è una straordinaria vicinanza fra lui e Ivens, uomini lontani nel tempo, nello spazio, nelle storie, eppure legati da una rara sintonia. Quello che Ivens ha cercato per tutta la vita, il vento, simbolo del cambiamento, del continuo fluire e variare delle cose e della vita che scorre, fu la guida del volo di Angelo, il suo compagno fedele e alleato prezioso.

E’ il principio che fonda lo Yiing, il Libro dei Cambiamenti, dal 3000 a.C cuore della filosofia cinese e “indica la natura dell’esperienza penetrante che arriva all’essenza quando la forza della realtà sprigionata dal vento tocca gli uomini e li spinge al movimento”. (Sylvain de Bleeckere, The Metaphysical key to the wind. On Une Histoire de Vent, Kampen, Kok, 1997). Affidare tutto questo al cinema è esperienza nuova e possibile, con i suoi strumenti il cinema riesce a far posto allo straordinario lasciandolo percepire nell’ordinario, e le parole inseguono le immagini, le immagini scolpiscono il tempo, i deltaplani proiettano le loro ombre a terra e sembrano enormi uccelli che scrivono nel cielo una lingua sconosciuta.

Angelo riprende il suo posto fra gli altri nelle sequenze animate in rotoscopio, una scelta, dicono gli autori, “dettata proprio dalla necessità di raccontare in modo poetico ed evocativo la figura di Angelo e le sue imprese in modo da allontanarsi dal classico documentario sportivo sul campione”. E’ sua la voce che in questi intermezzi parla di Metamorfosis, una delle sue imprese memorabili, mentre la trasparenza del disegno animato collabora al processo di smaterializzazione, cifra di un film che non è astrazione dal reale, piuttosto è immersione nei suoi colori, suoni e vibrazioni con la leggerezza del volo e la luminosità delle parole che parlano di lui.

Il racconto del suo mondo si compone allora dei tanti elementi di una storia reale eppure fantastica, e mentre le voci degli uomini parlano del suo illuministico interesse per le leggi della natura e della spinta incontenibile che lo muoveva verso un “oltre” ogni volta più arduo da superare, le grandi distese aeree attraversate dalle ali colorate degli uomini e dal volo degli uccelli lo fanno sentire ancora vivo, accanto agli amici e ai seguaci che, nel tempo, hanno portato avanti il suo impegno e che continueranno a farlo, oltre il tempo. Carneval Fly 2014 chiude il film con i colori, i suoni e l’allegria che si sprigiona da tante maschere in volo sulla spiaggia del mare siciliano. Angelo fondò Carneval nel 1998 e ancora oggi la festa continua a vivere, uno fra i tanti sogni che hanno riempito la sua vita.

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