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Soap Opera di Alessandro Genovesi: la recensione

Alessandro Genovesi ambienta il suo nuovo film in un piccolo condominio dal sapore retrò puntando tutto sul décor, le luci e il colore, descrivendo uno spazio che sembra il capriccio delirante di un interior designer, a partire dai complementi d’arredo, la struttura degli appartamenti, la macchina di Fabio de Luigi , il cappottino della Capotondi, e persino i pavimenti a rombi, con quel gusto decorativo francese primi novecento. In questo scenario sospeso in una dimensione indefinita, tranne la collocazione temporale poco prima la notte di capodanno, inserisce un gruppo di personaggi ritagliati come figurine, raccontando un banalissimo intreccio di sentimenti che dovrebbe esasperare le reiterazioni di tempi e gesti tipici delle soap, intenzione del tutto manifesta e sottolineata dal modo in cui viene gestito il movimento degli attori, quasi sempre congelati in un quadretto d’insieme, sia questo un pianerottolo, una stanza, il commissariato locale o la sala d’attesa di un ospedale.

Ma Genovesi non è certo Resnais o Pappi Corsicato e con questa materia riesce a malapena a scalfire la superficie teatrale del suo cinema, che non conosce scintilla, ancorato com’è alla funzione meccanica delle battute e ad un’illusoria “volontà” teorica di giocare alla decostruzione (?) di alcuni stereotipi.

Il risultato è del tutto tombale e non scorre vita oltre la stucchevole chirurgia estetica sull’immagine, lo dimostra ampiamente il continuo tentativo di aprire il set ad una visione d’insieme, come nella sequenza conclusiva, che francamente ci sembra più vicina ai trucchetti dell’ultima generazione televisiva, quella dei set “trasparenti” maldestramente allineati alle soluzioni di certe commedie Americane tra i ’50 e i ’60, come accade anche in Fratelli Unici, senza tener conto che in piena marcescenza del post-moderno, scomodare il Jerry Lewis di The Ladies Man o di The Patsy non ci sembra proprio il caso.

Emerge dal torpore generale Elisa Sednaoui, aliena in mezzo al teatrino di cartone, l’unica che a un certo punto decide di mollare l’allegra combriccola chiudendosi nell’appartamento chiuso dalle forze dell’ordine con i sigilli e appartenuto all’ex fidanzato appena morto suicida. Figura dolente quella di Francesca, la cui forza viene neutralizzata dalla voglia di Genovesi di congelare tutto, anche un semplice gesto, in questa malriuscita elegia del falso.

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