Home festival cannes 2011 Cannes 64 – Concorso – Hanezu no tsuki di Naomi Kawase

Cannes 64 – Concorso – Hanezu no tsuki di Naomi Kawase

È un viaggio allegorico nella memoria del Giappone, alla ricerca delle radici ideali di una civiltà che sembra ormai aver perduto il suo naturale accordo con i tempi della natura e della storia, ad essere al centro del nuovo film di Naomi Kawase (premiata al Festival del 2007 con il Grand Prix per Mogari no mori), che rappresenta certamente una delle opere più complesse del cartellone cannense. Il sole, il sangue e la fiamma sono le immagini che si coagulano nella parola “Hanezu”, antichissimo termine comparso per la prima volta in una raccolta di poesie dell’ottavo secolo (Manyoshu), a simboleggiare i due caratteri essenziali dell’esistenza umana, la perenne dicotomia fra forza e fragilità, vivacità ed evanescenza. Nella regione di Asuka, culla della cultura giapponese, il dissidio che agita i cuori degli uomini si consuma in perfetta consonanza con la lotta ancestrale fra le divinità che abitano i monti Unebi, Miminashi e Kagu, popolando i racconti i racconti degli anziani e ripetendosi, in forma metaforica, di generazione in generazione. Meditazione sui legami fra passato e presente, nell’alternanza ritmata di conservazione e rottura, Hanezu rivela la difficoltà del vivere quotidiano in un mondo divenuto impaziente, incapace di lasciare spazio alla contemplazione e destinato ad una condizione di instabilità senza rimedio. Così al di là della rappresentazione in apparenza monotona delle giornate di Takumi e Kakoyo si cela un’inquietudine che invaderà progressivamente le loro esistenze, conducendo ad una definitiva rottura, innescata dall’amore della donna per lo scultore Tetsuya, che modella statue ispirate agli dei e ai miti della tradizione giapponese. All’infrangersi di un rapporto di corrispondenza con il reale fa eco l’incapacità di relazionarsi con i propri simili, tanto che il legame fra Takumi e Kakoyo finisce per perdersi in una impossibile comunicazione e in un inevitabile allontanamento, fino alla lapidaria confessione della donna, che ammetterà il suo amore per Tetsuya e affermerà di essersi liberata del bambino di cui era in attesa. La storia di questo triangolo amoroso acquisisce tuttavia fascino e poesia all’interno della visione più ampia della lotta fra i monti rivali (Miminashi e Kagu) che si contendono l’amore di Unebi, dando vita ad uno scontro che si situa al di là del tempo, ma in qualche modo ritorna eternamente nel carattere e nelle passioni degli abitanti della regione di Asuka. La commistione fra realtà e leggenda, natura e storia (simboleggiata dalle inquadrature iniziali, dove alla riproduzione dei frammenti di materiale tratti da uno scavo archeologico si mescolano le immagini del paesaggio naturale e dei suoi cicli) rappresenta certamente l’aspetto più affascinante del film della Kawase, che sceglie la delicatezza e mai l’ostentazione, lavorando per sottrazione e lasciando allo spettatore (che dovrà munirsi di una buona dose di concentrazione) il compito non facile di riannodare le fila del discorso e di comprendere il significato dei simboli che si riannodano alla vicenda principale, dispiegandone temi e toni in modo tutt’altro che immediato.

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