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Werner Schroeter: Notte senza fine. In memoriam

Quando calca il palco della Volksbühne, Werner Schroeter è una magnifica apparizione frocia col suo cappello nero a falde larghe, giacchetta e camicina d’alto bordo, anelli alle mani e stivali ai piedi. Un cowboy colto e vanitoso, ben cosciente del proprio marchio di fabbrica. Da sempre, il migliore sponsor di se stesso. Forse l’unico.
Il 5 marzo 2009 c’è stata la presentazione berlinese di Nuit de chien (2008), il lungometraggio che ha segnato il quarantennale della carriera di Schroeter, e il suo ritorno al cinema dopo sette anni. Il film è in francese come la copia sbarcata al Lido l’anno scorso, dove il regista ha ricevuto un premio speciale. La versione doppiata in tedesco – Werner Schroeter – Diese Nacht è pronta e dovrebbe uscire nei cinema. Un piccolo evento, dato che Schroeter è assente dalla normale distribuzione nelle sale tedesche da tempi immemorabili. Forse addirittura dal suo adattamento di Malina (1990), da Ingerborg Bachmann, sceneggiatura di Elfriede Jelinek.

Nel frattempo il Buffalo Bill del cinema tedesco, l’unico autore ancora paragonabile a Jean Cocteau, ha lottato contro il cancro e si è concesso una discreta serie di regie operistiche. Ma se vi azzardate a chiedergli della malattia o della Callas – sua antica ossessione – lui vi fulmina con lo sguardo e chiude il discorso nel giro di un minuto, non senza rispondere a tono e con fior di argomentazioni – intrise, va da sé, di sarcasmo e citazioni alte in egual misura. Come se lui avesse bisogno di compassione. Come se lui cascasse nella trappola della Callas per far presente al pubblico la propria identità sessuale. Pinzillacchere.
Werner Schroeter è un esteta puro, e un cineasta autodidatta. Cominciò quando cominciavano in molti (Schlöndorff, Herzog, Fassbinder), dopo aver archiviato tre settimane di Medicina. A Monaco fece due mesi e mezzo di scuola di cinema, poi mollò. Wenders, invece, si fece tutti gli anni che doveva farsi e si prese il pezzo di carta. Werner ci tiene a dirlo non per sbeffeggiare Wim in contumacia, ma per ribadire che lui, col cinema “laureato”, non ha nulla a che spartire. E dire che lo chiamano l’ultimo manierista, l’intoccabile, cose così. Lui, Werner, semplicemente, crede nella nicchia e vive nella nicchia. Da sempre. Anche quando, negli anni Settanta, amoreggiava con Rosa von Praunheim e complottava messinscene con Daniel Schmid. Anche quando vinse l’Orso d’oro nel 1980 con Palermo oder Wolfsburg, cronaca tra il mistico e il pasoliniano di un giovane immigrato palermitano. Anche quando, 28 anni dopo, arrivò a stringere il Leone d’oro alla carriera. Lui è uno che se cita un film, cita La passione di Giovanna d’Arco di Dreyer e ti scodella il titolo in francese, perché è lui un francofilo, lui era amico di Foucault e aveva progettato un libro con lui, poco prima che morisse. Werner è uno che certi birignao se li può permettere. Chiunque altro risulterebbe ridicolo alla seconda sparata.


Nuit de chien
è tratto da Para esta noche (1942) dell’autore uruguaiano Juan Carlos Onetti. Un romanzo ambientato in una sola notte nella città finzionale di Santa Maria, in Sud America. Fantapolitica, poliziotti corrotti, terroristi vari e poveri diavoli, intrighi kafkiani, roghi, pallottole ed esplosioni. Questo bizzarro Tutto in una notte porta la firma del produttore portoghese Paulo Branco, ultimo mecenate del Cinema d’Autore che non conosce compromessi. Branco è colui che ha lanciato Manoel de Oliveira e ha più volte finanziato gli stravaganti progetti di Raoul Ruiz. E’ quello del Martin Frost di Paul Auster. Per Branco, un giorno senza rischi non è un giorno. Branco ha dato carta bianca a Werner, a patto di girare a Porto con una piccola troupe. E Werner ha girato a Porto, tutte le notti, solo di notte, per un paio di mesi, con una piccola troupe.

Il film si apre con un quadro di Tiziano, ed è pervaso di morte dall’inizio alla fine. Poco conta la presenza, si direbbe, salvifica di una bambina – che finisce sotto la doccia con un suo coetaneo – poco contano altri segnali riottosi e grotteschi come un trans vestito sotto la doccia (‘sta doccia…), uno splendido cinquantenne che fa l’amore in una vasca con una maschera di lupo addosso, o gli interrogatori della polizia condotti in chiesa, davanti a un crocifisso testimone sia del denudamento esibizionista di un marchettaro, sia del suo impallinamento, sia delle molestie e delle torture riservate a una ragazza. Poco contano certi guizzi bunueliani o forse solo ambigui e di dubbio gusto, come l’adiacenza, nel montaggio, di un culo e di un cristo, o l’insistenza sulla relazione sessuale tra i due ragazzetti succitati. Nuit de chien è una danse macabre senza speranza.

Ben servito da attori come Pascal Greggory o Bulle Ogier, ben fotografato – elegante, ma senza strafare – e diretto con una cura del dettaglio viscontiana ma mai leziosa, Werner Schroeter – Diese Nacht è quello che si dice un classico film d’autore. Ed è anche un bel film, che si conclude con un lungo… campo lungo al porto, all’alba, con tanto di nave che molla gli ormeggi e folla immobilizzata in un fermo immagine di disperazione. Una di quelle immagini che grondano, più che messa in scena, gioia della ripresa e della durata. Uno arriva fin lì dopo le (troppe) torsioni della trama, dopo aver respirato morte e decadenza per centocinque minuti, e si butta nelle mani del Regista, colui che scolpisce una propria realtà con le immagini. Mica quello che filma e basta. Mica quello che i blockbuster.
Nonostante Nuit de chien sia molto meno azzimato del “film medio” targato Schroeter e scorra che è un piacere, alla Volksbühne il pubblico ha abbandonato il buon Werner. Applausi sostenuti riservati a lui e alla sua presenza, ma dopo venti minuti di pausa l’intervista all’autore si srotola davanti a una platea semivuota. Schroeter è ferito e deluso, ma non per questo meno eloquente. Fa buon viso a cattivo giuoco e si trattiene dall’umiliare il giornalista che gli siede davanti, visibilmente impreparato. Werner ruota le caviglie sottili, si dinoccola, annacqua il vino e parla dell’importanza delle immagini. Meine Kunst, dice. Seine Kunst.

Il 12 aprile 2010 Werner Schroeter è morto. In febbraio, durante la Berlinale, ha fatto in tempo a calcare il palco per ritirare il Teddy alla carriera (premio LGBT parallelo al festival). In marzo, sempre alla Volksbühne, ha messo in scena un ultimo spettacolo. Combattivo e snob fino all’ultimo, da vero Don Chisciotte dell’arte per l’arte.

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