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Venezia 66: White Material – Di Claire Denis – (Francia 2009)

Claire Denis con White Material filma un Camerun lacerato dalla trasformazione con sguardo animato da una partecipazione intima e fisica. Ducumentare è un movimento difficile tra resistenza e perdita che il cinema della Denis innesca in una ricerca incessante della verità condotta attraverso l'ambiguità del punto di vista

Claire Denis con White Material filma un Camerun lacerato dalla trasformazione con sguardo animato da una partecipazione intima e fisica. Ducumentare è un movimento difficile tra resistenza e perdita che il cinema della Denis innesca in una ricerca incessante della verità condotta attraverso l’ambiguità del punto di vista. In fondo cos’altro è l’ostinazione di Isabelle Huppert nel rimanere attaccata al lavoro della piantagione Cafè Vial che ha curato per una vita intera se non un atto di resistenza politica, l’aderenza ad una storia identitaria personale e intima. Fuori dalla logica di trasmutazione del potere Marie attraversa una realtà che non è più la stessa affermando la sua relazione intima con la terra; la Denis riesce ad avvicinarsi al cuore più oscuro dell’Africa Post-coloniale spezzando il racconto con una violenza primordiale e poetica prima ancora che post-moderna; un procedimento politico opposto a quello di Moore, in White Material la Storia preme dai margini disinnescando la logica narrativa in una riaffermazione estrema e libera del punto di vista tanto da trasformare in progressione il ruolo privato e impenetrabile di Marie in un sofferto percorso di ribellione; totalmente estranea all’addomesticamento coloniale, l’assorbimento con un territorio difficile è sigillato da un amore che Marie esprime senza compromessi, un rapporto di forte fisicità che la Denis filma con una partecipazione emotiva fortissima. Gli oggetti e i dettagli nel cinema della cineasta francese sono i segni di una libertà rigorosa nella costruzione del racconto; Claire Denis non rinuncia mai all’indagine del corpo privato tanto che gli elementi dell’apparentemente inerte diventano improvvisamente aperture fortissime nella costruzione del senso. Il figlio di Marie è in questo senso una sorta di crocevia sottoposto ad un continuo slittamento; quasi sempre in una posizione passiva rispetto alla terra che lo ospita, incarna una visione Coloniale attraverso una depressione che lo rende distante da tutto come se si trovasse a fare una lunga vacanza irreale, sradicato dalle sue origini; arriverà ad impazzire assumendo una forma identitaria molteplice; rasandosi a zero e imbracciando un fucile costringerà la figlia di uno dei lavoranti della piantagione a mangiare i suoi capelli biondi, in una sequenza filmata con un’attenzione potentissima al dettaglio così da diventare segno di fortissima complessità iconica e politica. Il rifiuto di qualsiasi interpretazione del reale da parte del figlio di Marie viene mostrato con l’immagine di una forza distruttiva e ambigua, segno di morte che passa da una cultura all’altra. E’ qui che il montaggio creativo di Claire Denis diventa espressione poetica, non sarà fortunatamente possibile dare una collocazione precisa alla vita e la morte del “pugile”, il ribelle interpretato da Isaach De Bankolé, il suo è un passaggio ai limiti del visibile che dissemina il paese di scritte murali, tatuaggi, segni che trapassano dal presente al passato e si inabissano in un’immagine visionaria della Storia, commovente e libera.

RASSEGNA PANORAMICA
Voto
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Michele Faggi è un videomaker e un Giornalista iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana. È un critico cinematografico regolarmente iscritto al SNCCI. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e new media. Produce audiovisivi
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