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Las Niñas di Pilar Palomero: recensione

Las Niñas, primo lungometraggio di Pilar Palomero e racconto di formazione su un gruppo di adolescenti nella Spagna degli anni 90. Il cattolicesimo conservatore alle spalle e la scoperta del desiderio all'orizzonte. Presentato al Festival del Cinema di Torino 2020

Las Niñas è il primo lungometraggio di Pilar Palomero. Ruota intorno alla figura di Celia, undici anni, alla sua formazione nella Spagna degli anni novanta, alla relazione con le compagne di classe in un istituto gestito da suore e a quella difficile con la madre. Senza un padre, morto in circostanze che non le vengono mai chiarite, passa le sue giornate ad ascoltare le hit pop del momento e a confrontarsi con le prime sollecitazioni del desiderio.

Las Niñas, la Spagna degli anni novanta nel film di Pilar Palomero presentato al Torino Film Festival 2020

La perdita e il passaggio del tempo colpiscono lo sguardo di Pilar Palomero sin dai suoi primi corti, mentre quello di una bimba che deve affrontare la comprensione di un lutto, costituisce l’andamento di “La Noche de todas las cosas“, uno degli ultimi lavori della regista di Saragozza, realizzato prima di confrontarsi con la forma lunga e attraversato da un tocco che si avvicinava al cinema filosofico di Victor Erice.
L’attenzione agli oggetti, così predominante nello spazio narrativo breve, non perde qualità materiale in “Las Niñas“, ma acquisisce spessore Storico e antropologico, dialogando con i corpi e i gesti della generazione a cui apparteneva la stessa Palomero, nata nel 1980.

Si osserva a distanza di trent’anni Pilar, raccontando la sua città tra le aule della scuola cattolica, le stanze condivise con la madre e gli spazi dove era possibile fantasticare con le coetanee, assimilando i codici del desiderio attraverso i testi delle rockstar spagnole.
Il rock, come il whiskey bevuto di nascosto, le sigarette clandestine e un viaggio di Celia in motorino con un ragazzo di cui non vedremo il volto, definiscono la necessità di trasgredire, come capacità di superare i limiti imposti dal sistema formativo, ancora influenzato dal ruolo femminile immaginato e disegnato dal conservatorismo franchista.

Quell’immagine devozionale di matrice mariana radicata nella tradizione spagnola, risuona tra le aule del collegio, dove Madre Consuelo, interpretata da una straordinaria Francesca Piñón, impartisce un codice di educazione sessuale funzionale al progetto di Dio e alla maternità.
Del sesso di cui non si può parlare, neanche in casa, le ragazze raccontate dalla Palomero, fanno esperienza percettiva nel privato delle proprie camere, provando reggiseni, accorciandosi magliette, giocando con i trucchi. Un piccolo mondo parallelo che esonda dalla comunicazione di massa, con la Carrà che parla di preservativi in una puntata di “Hola Raffaella” e le strade che racconta un’altra realtà.

Nel descrivere i tentativi di fuga da un mondo chiuso, Pilar Palomero segue da vicino i mutamenti di Celia (Andrea Fandos), stretta in quel confine sbrecciato che divide lo spazio sacro dalla conoscenza mondana. Educate come suore, le giovani ragazze spagnole subiscono l’insieme di regole imposte, confrontandole con gli oggetti del consumo di massa, quelli diffusi dalle democrazie liberali.
Musicassette, registratori, piccole cose di uso quotidiano che Palomero filma con precisa attenzione ai gesti che ne attivano il significato condiviso.
Attraverso l’uso funzionale e quotidiano della musica, le ragazze diventano comunità e determinano l’orientamento della propria formazione, non importa se questa include contrasti e crudeltà, perché quelli sono riflessi di una società conflittuale, dove la delazione e la repressione di qualsiasi devianza sono ancora la norma fondativa.

Mentre il cattolicesimo franchista rimane sullo sfondo come ombra tetra, la città apre al possibile, anche se viene spiata dai margini oppure esplode nella danza liberatoria di “Viernes” dei Niños Del Brasil, piccolo manifesto di libertà laica che definisce lo spazio della discoteca come luogo di condivisione dei corpi.

Prodotto da Valérie Delpierre, che già aveva lavorato con Carla Simón per “Estate 1993”, Las Niñas si inserisce in modo del tutto personale entro una nuova tendenza del cinema spagnolo contemporaneo, che rilegge gli anni novanta della nazione da una prospettiva critica.

I due sguardi, quello della Simón e della Palomero, sono particolarmente importanti, perché ridefiniscono luoghi e modi dell’educazione femminile di quegli anni.

Non è una prospettiva direttamente femminista in termini espliciti, ma lo diventa come tentativo di riconfigurare il linguaggio e gli stereotipi intorno alla percezione del desiderio.

La Palomero in particolare, affina la ricerca compiuta lungo quindici anni di cortometraggi e riesce a mantenere la forza e la freschezza della forma breve, con uno stile che non forza mai il confine tra osservazione e trasfigurazione poetica.

La forza evocativa del suo cinema risiede tutta nell’attenzione per la visione periferica delle cose. Il viaggio in moto di Celia, con un piccolo ma splendido slittamento, non inquadra la strada e l’orizzonte, ma si ferma sensorialmente sui suoi capelli, penetrando il movimento del vento e il profumo di un’estate che non riesce a sbocciare.

Las Niñas di Pilar Palomero – 2020
Interpreti: Natalia de Molina, Carlota Gurpegui, Andrea Fandos, Francesca Piñón
Fotografia: Daniela Cajías
Sceneggiatura: Pilar Palomero
Montaggio: Sofia Escudé





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Michele Faggi è un videomaker e un Giornalista iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana. È un critico cinematografico regolarmente iscritto al SNCCI. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e new media. Produce audiovisivi
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