Verner – Fiori dal limbo: la recensione

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Una finestra e sei copertine intercambiabili attraverso altrettante card illustrate da Mara Cerri e contenute nel packcaging di “Fiori dal limbo”, il secondo album di Verner, apolide Bolognese (le sue origini sono Campane) 12 bozzetti sintonizzati con lo stile della talentuosa illustratrice/pittrice, un realismo magico, quasi lowbrow dove l’elegante pastosità dei colori dischiude la porta del sogno in un viaggio che è verso i ricordi, l’infanzia e una pittura che non abdica mai alla perfezione algida del digitale. Il nesso con il cantautorato lieve ed acustico di Verner è chiarissimo, perchè “Fiori dal Limbo”, anche se le incursioni elettriche sono più presenti rispetto all’esordio, allarga lo spettro sonoro introducendo nuovi strumenti (violoncello, pianoforte, synth) che riescono a mantenere la chiarezza “acustica” del discorso narrativo. Sul piano compositivo Verner assimila la lezione della musica italiana dell’ultimo decennio con originalità e sopratutto semplicità, dote rarissima, e che a tratti ricorda la leggerezza del defilato Nino Bonocore, da cui desume il modo di raccontare le cose. Senza mezzi termini brani come Giorni di riposo, Inutili verità, Sono un temporale, Questa è la mia terra, sono piccoli capolavori, capaci di tradurre l’ispirazione che arriva da Nick Drake, senza imitarlo (anche questa, dote rarissima) e traducendo il tutto in una contagiosa malinconia italiana.