Sleepmakeswaves – love of cartography: la recensione

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Nel calderone del rock strumentale di derivazione primi novanta, quello che tocca chiamare post-rock per farsi intendere subito, gli Sleepmakeswaves hanno un’innegabile forza che li eleva rispetto alla cristallizzazione di quelle intuizioni in una maniera senza ormai più originalità e idee, basta pensare agli infiniti cloni post Explosions in the Sky o al più saggio spostamento di band storiche verso derive legate alla musica elettronica. La band Australiana rimane ostinatamente salda ad una concezione “classica” del genere, forse per l’ascendenza Metal delle loro origini e per l’esperienza su palco condivisa con i 65daysofstatic, dai quali desumono una potenza non dissimile, annegandola in una tessitura tastieristica che pur rimanendo sullo sfondo, in questo Love of cartography è ben presente come riferimento di chiara matrice dark-wave, aspetto che frena l’artificialità delle incursioni elettroniche avvicinandole alla tendenza dilatata e strumentale di certo rock britannico anni ’80, Cure di Pornography inclusi. Ma rispetto a quelle traiettorie depressive (singularity), gli Sleepmakeswaves prediligono una magniloquenza epica come in Emergent, brano dallo spessore sinfonico, che si sviluppa attraverso una serie di stazioni graduali, con un’esplosione tra fragore noise e ritmo che contribuisce ad una complessiva resa drammatica. Rispetto all’elettrocore dei 65daysofstatic, la prima pubblicazione sulla lunga distanza della band Australiana privilegia lo “sturm und drang” elettrico come una versione più ariosa ed aperta del doom visionario dei The Gathering. Da questo punto di vista i nostri non hanno nessun timore di esagerare con gli intarsi sinfonici, infondendo calore anche alle parti elettroniche e riferendosi alla superficie più esuberante della musica per il cinema. Trash metal, sinfonismi, e un ego smisurato o al contrario una certa evanescenza ambient, fanno parte di un disegno sorprendentemente equilibrato.