Rock Contest 2017 – Cronofillers, rap, hip-hop, breakbeat e le città distopiche: l’intervista

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È una vera e propria crew quella di Cronofillers, attiva e in comunicazione attraverso alcune città della toscana. I rapper Emanuele Bonetti , Matteo Della Tommasina e Lorenzo Masini ne costituiscono il cuore musicale, insieme al beatmaker Matteo Nicastro e al dj Dimitri Ahmetovic. Attivi dal 2011 pubblicano due anni dopo per la torinese BM records il primo album sulla lunga distanza intitolato “Il cono d’ombra“. Dopo numerose raccolte e collaborazioni trasversali pubblicano il secondo capitolo di una loro personale riflessione sulla città distopica, intitolato “Chernobyl“, seguito ideale di Cono D’ombra, di cui mantiene il sottotitolo, “Cono d’ombra 2” per confermare una connessione narrativa specifica. L’album esce lo scorso aprile 2017 ed è disponibile, come tutta la produzione ufficiale della band, sul sito www.cronofillers.it.
La musica dei Cronofillers ha un’identità molto precisa e si serve dell’arte del campionamento con gusto dadaista e decostruzionista, privilegiando nel secondo capitolo sulla lunga distanza, i campioni di certa musica Italiana tra i sessanta e i settanta, decontestualizzati e ricombinati in un’oscura elegia sui nuovi complessi urbani. Chernobyl è la speranza disattesa, una vera e propria città-frankenstein costituita dai brandelli di altre metropoli conosciute e descritte attraverso i loro valori negativi e disfunzionali: il degrado, i mutamenti climatici, l’inquinamento, la scarsa vivibilità.

Tra i gruppi selezionati per la terza eliminatoria del Rock Contest Fiorentino programmata per il prossimo 30 ottobre, li abbiamo intervistati per conoscere da vicino la loro musica e la loro filosofia.

Cronofillers – Se Bruciasse la città – Dir: Davide Marconcini

Per consultare tutte le interviste e i contenuti speciali dedicati ai 30 ospiti del rock contest fiorentino, Indie-eye, media partner del festival, ha aperto una sezione specifica da questa parte: Rock Contest 2017, tutti i contenuti 

Sciogli i cavalli al Vento di Iva Zanicchi, Qualcosa in più di Mina, Amore stanco Amore d’officina di Anna Identici sovrimpresso a l’ascesa dell’F6 di Auden, Vecchio domani di Dario Baldan Bembo, Liebelei di Milva. Sono solo alcuni dei campioni che avete utilizzato per Chernobyl, il vostro secondo album. Come sviluppate la ricerca dei frammenti da utilizzare nella vostra musica?

La ricerca del suono di questo disco ha portato a sviluppare un’idea già presente ma soltanto abbozzata in alcune nostre vecchie canzoni, dove il taglia-e-incolla ci offriva la possibilità di stravolgere a piacimento il significato originario di frasi cantate. In pre-produzione abbiamo iniziato ad attingere dalla musica italiana di generi e decenni diversi senza chiederci troppo il motivo. Le bozze erano stranamente appaganti e allo stesso tempo familiari: abbiamo deciso, quindi, di adoperare questo tratto d’unione sonoro per cucirci sopra i pezzi di una trama distopica complessa, non sempre lineare, che si stava sviluppando. Dopo un po’, inoltre, ci siamo accorti che questo stratagemma ci stava aiutando ad avvicinare il contesto narrativo al luogo e all’epoca in cui viviamo e ad amalgamare meglio musica e testi

Come definireste il processo di montaggio di questi elementi con la vostra musica e i vostri testi? Decostruzionista o combinatorio?

Entrambi. La decostruzione dei campioni, in un certo modo, è il simbolo della destrutturazione della memoria del mondo come lo ricordavamo, e aiuta in tal senso a definire il contesto narrativo degli antefatti, condensati nella prima parte del disco. Passata la catastrofe i pezzi del puzzle si iniziano a ricombinare secondo meccanismi non convenzionali di causa-effetto e ciò rappresenta, dal punto di vista stilistico, le conseguenze drastiche e i cambiamenti ai quali ci si deve adattare, pur in maniera forzata. Il senso dei campioni è stato quindi stravolto in maniera funzionale alla trama, laddove aiutava ad aumentare il senso di smarrimento, ma più spesso è diventato parte inscindibile del testo, tant’è che ad ora non riusciamo a riproporre le strofe del disco su altre strumentali, come accade spesso nell’hip hop.

Rispetto alla scena Rap e Hip-hop italiana il vostro è un approccio molto più colto che ricorda in parte gli esperimenti di Dj Spooky ai tempi di “Songs of a Dead Dreamer”, ma nonostante questo non rinunciate all’impatto comunicativo e ad un’esplicita impostazione politica. Cosa vi piace e cosa non vi piace della scena rap italiana?

È molto difficile definire una “scena rap”: è genere sempre molto diverso a seconda degli stili e delle derivazioni.
Nonostante il nostro il nostro approccio sia caratterizzato da un sound molto anni ’90 e un certo uso della parola crediamo che sia importante per un artista trovare il suono a lui più congeniale per esprimersi.
Inseguiamo il maggior equilibrio possibile tra le parti, per cui ci piace chi evita di crogiolarsi troppo e cerca di evolvere in ogni disco, chi evita di cavalcare i tormentoni per stare al passo coi tempi, chi preferisce il coinvolgimento rispetto all’autoreferenzialità.

Raccontateci qualcosa sulla fisiologia della Crew cronofillers e sulle modalità di lavoro e collaborazione che confluiscono nel progetto

Siamo una crew che lavora a distanza, con i suoi componenti sparsi tra Lucca, Firenze, Massa e Milano; per fare musica e essere produttivi cerchiamo di avere oltre che una forte volontà una grande etica del lavoro. Sia nei progetti collettivi che singoli cerchiamo di mettere quello che sappiamo fare meglio – chi mette l’attitudine a scrivere, chi a organizzare, chi l’abilità grafica, chi quella musicale – cercando di privilegiare lo spirito collettivo piuttosto che, cosa inusuale per il nostro genere, quello individuale.

Perché avete deciso di intitolare il vostro nuovo album “Chernobyl”? l’incipit del testo sembra prendere spunto dagli scritti di Paolo Barnard su Unicredit, Draghi e Ghizzoni…

“Chernobyl”, per chi come noi è nato negli anni ‘80 è un ricordo indelebile. Una voce al telegiornale che parlava di cose che non potevamo capire, ma anche il ricordo del benessere tipico di quegli anni: il simbolo di come un futuro pieno di speranze possa trasformarsi in tragedia. L’incipit della title track in realtà fa riferimento al logo dell’Unicredit che dal 2012 sorveglia Milano dal centro di piazza Gae Aulenti. Ci affascinava l’idea che in Chernobyl questo diventasse il fulcro intorno al quale si muovono le vite degli abitanti lavoratori, in una sorta di processione in adorazione del dio denaro.

Cronofillers – L’anello di Saturno – Dir: Cronofillers e Marco Chiaramonti

La vostra Chernobyl è una città decostruita formata da tante città possibili distrutte dai cambiamenti climatici e dall’economia corrente?

La nostra Chernobyl è una terra promessa, che come tante terre promesse spesso delude le aspettative di chi la raggiunge. Chernobyl unisce in sé tutti gli aspetti negativi delle metropoli contemporanee: il centro grigio e morto, i ritmi di lavoro forsennati, la frenesia e le luci delle megalopoli asiatiche, la cintura di bidonville sudamericane e l’abbandono delle zone industriali delle nostre città di provincia.

Cronofillers – Chernobyl – Dir: Davide Marconcini

Il video è di Davide Marconcini, col quale avete realizzato anche la clip di “Se Bruciasse la città”. C’è un progetto estetico comune in questi due video?

Davide e i ragazzi di Cartacarbone hanno saputo capire e interpretare il mondo che abbiamo immaginato nel disco e l’hanno reso visibile. Il video di Chernobyl e il video di Se bruciasse la città sono stati girati nella stessa location, in due giorni consecutivi (una faticaccia!) ma ci piaceva l’idea di creare un filo conduttore e che lo spettatore potesse trovare nel secondo video non solo gli stessi tratti estetici, ma anche alcuni oggetti del video precedente, a sottolineare il fatto che entrambi appartengono alla stessa continuity.

La realtà urbana, spesso descritta con toni apocalittici è quella che vi interessa maggiormente; quali sono le città che amate di più e quelle che trasfigurate nelle vostre elegie oscure e dolenti?

Le città che amiamo sono le stesse che trasfiguriamo: luoghi con tante facce, anche in aperta contraddizione tra loro, in cui viviamo o abbiamo vissuto e che inevitabilmente diventano lo scenario di ricordi e esperienze altrettanto contraddittorie. “Chernobyl mi ha dato casa e amore, fama e onore, occhiaie e cerchio alla testa”, così come hanno fatto Milano e Londra, Rotterdam, Tokyo, Los Angeles, Sarajevo, Fez e tantissime altre

Come si presenta la crew sul palco e quanti sarete per il set del Rock Contest di Controradio?

Three mc’s & one deejay” come diceva qualcuno di importante, con l’aggiunta di un jolly, un po’ mc un po’ beatmaker, a fare un po’ di tutto, dietro le macchine e i microfoni e ad assicurarsi che tutto vada per il verso giusto.

Il rock contest è un trampolino importante per gli artisti che propongono musica di qualità, proprio perché la connessione con la filiera produttiva, tradotta in premi, ha una funzione concreta. Che cosa ne pensate e perché avete deciso di partecipare?

In un mondo musicale dove l’immagine non è sempre bilanciata con la sostanza, dove l’offerta incanalata nel web è satura, è importante avere vetrine che promuovono ancora la scena indipendente secondo modalità che privilegiano la qualità e il contenuto.
Abbiamo deciso di partecipare perché ci piacerebbe far arrivare la nostra musica a più orecchie, per mettere in gioco le nostre idee e le nostre riflessioni con un pubblico più ampio e capire se valgono qualcosa anche per altri.

Cronofillers, la scheda sul sito ufficiale del Rock Contest 2017