sabato, Dicembre 14, 2024

Rock Contest 2017 – Form Follows, elettronica, esperienza quotidiana e altre mutazioni: l’intervista

Form Follows è un duo livornese attivo dal 2016 costituito da Filippo Conti e Fabio Saggese. Nella loro musica, la struttura armonica e melodica indicata dall’impiego di strumenti acustici si combina con una vera e propria arte del campionamento, tesa a costruire pattern ritmici provenienti dall’esperienza quotidiana e dal mondo esterno. Altre narrazioni per così dire, elaborate da fonti eterogenee la cui provenienza dipende dal risultato che i nostri vogliono ottenere.
La sperimentazione viene incorporata nella cornice di una musica comunque fruibile, tra meditazione e dancefloor.
Sono 3 gli EP pubblicati in forma autoprodotta dal duo e molti i concerti e le collaborazioni che hanno collezionato, citiamo a questo proposito i nomi di Apes On Tapes, Nularse e Leland Did It.
Morfosi.Morfosi è il loro primo album uscito lo scorso aprile e riassume perfettamente esperienze e filosofia dei Form Follows.
Tra i gruppi selezionati dal Rock Contest di Controradio per la terza eliminatoria in programma il prossimo 30 ottobre al Combo di Firenze, li abbiamo intervistati per sapere di cosa sono fatte, materia e sostanza di uno dei set più attesi della kermesse fiorentina.

Form Follows – Berillio – Dir: Marco Bruciati

Per consultare tutte le interviste e i contenuti speciali dedicati ai 30 ospiti del rock contest fiorentino, Indie-eye, media partner del festival, ha aperto una sezione specifica da questa parte: Rock Contest 2017, tutti i contenuti 

La prima cosa che ci tenevamo a dirvi è che il vostro debutto è davvero sorprendente, partiamo quindi dall’inizio.Come si svolge il vostro lavoro, in termini strutturali, e come realizzate il lavoro di documentazione sonora?

Entrambi ci siamo approcciati al campionamento in tempi recenti, sfruttando quindi tutte le possibilità tecnologiche date dai vari software di produzione musicale. Nel disco si trovano sia campionamenti “ambientali” registrati in studio o in “esterna”, come ad esempio la registrazione di un braciere in Fire; altre cose sono state prese da Internet o da alcuni CD in nostro possesso; in generale abbiamo comunque cercato di non “rubare” cose che non sentivamo nostre o su cui non eravamo informati; considerata la quantità di materiale che oggi è accessibile c’è sempre questo rischio: va bene campionare da YouTube, lo fa anche Bonobo, a patto che si abbia una consapevolezza riguardo a quello che stiamo andando ad utilizzare.

Sono più importanti le voci o i rumori nei vostri safari documentali?

Essendo un progetto quasi esclusivamente strumentale ad un primo approccio siamo più attratti da campioni vocali, soprattutto nella fase di composizione iniziale, quando si tratta di creare la struttura del brano. I rumori sono però altrettanto importanti, poiché sono quelli che poi andranno a creare l’ambiente del brano.

Quali altri strumenti interagiscono con le registrazioni e i campionamenti?

Solitamente un’infinità di chitarre, bassi, percussioni e tastiere o synth di vario tipo. In alcune tracce abbiamo inserito la batteria acustica, suonata dall’ottimo Giacomo Cirinei, per rendere l’ambiente sonoro meno artificiale. Non sappiamo se ci siamo riusciti, ma alla fine crediamo di essere riusciti almeno ad amalgamare bene il tutto.

Leggevamo di alcuni accostamenti illustri: Notwist, Caribou, noi vorremmo aggiungere anche Matmos, con una domanda: c’è posto per la dimensione organica oltre che per quella aurale?

Avremmo risposto più facilmente a una domanda sulla meccanica quantistica. Comunque tutte le dimensioni che creiamo parlando di musica e di arte sono solo definizioni che utilizziamo per cercare di capirci in una discussione. A noi però non interessa parlare, ma fare della buona musica. Non bisogna definire a prescindere per cosa c’è posto e per cosa no, ma bisogna cercare di avere un’idea di cosa si vuole trasmettere. Tutto il resto viene usato proprio per raggiungere l’obiettivo. Certo, non sempre si riesce ma è proprio per questo che non si finisce mai di studiare come mettere “su note” le proprie sensazioni.

Alla fine, quello che colpisce, è la fruibilità dell’insieme. Al di là della provenienza, della sorgente, del collage di frammenti, il risultato è quello di uno strano connubio tra ambient e dancefloor! Siete d’accordo?

Sì, assolutamente, ci piace sperimentare in varie direzioni e con tecniche differenti, ma è importantissimo che il risultato finale sia fruibile da tutti, anche in situazioni differenti. Questo ci permette inoltre di poter gestire queste due anime anche in live prediligendo la fuoriuscita di una o dell’altra a seconda della situazione in cui ci troviamo.

Form Follows – N.O.E. feat. Matteo D’Angelo – Dir: Chiara Turbati, Oliviero Di Lanzo

E il Jazz? Ve lo chiedo perché alcune tracce sembrano andare in quella direzione improvvisativa. Di chi è la voce di Cup of Coffee per esempio?

Il jazz è sicuramente uno dei nostri ascolti principali, non tanto nella forma ma quanto in un certo tipo di approccio.
La voce su Cup Of Coffee, così come su Sunday, è di Viola Lenzi. L’abbiamo chiamata una sera in studio e l’abbiamo fatta praticamente improvvisare, basandoci su poche note che avevamo buttato giù precedentemente. Su Cup il risultato è quello effettivamente più schizofrenico, ma era un po’ l’idea fondante del brano.

Sempre in relazione con Cup of Coffee mi è venuto in mente un brano non troppo conosciuto di Joni Mitchell da “Dog eat Dog”, “Smokin’ (Empty, Try Another)”, blues per voce e distributore di sigarette. La conoscete, e soprattutto, è il rapporto uomo macchina che vi interessa?

Il brano non lo conoscevamo e siamo andati ad ascoltarlo incuriositi. L’idea è interessante, sia l’utilizzo dei suoni che il cantato che sembra un mantra. D’altra parte noi crediamo che la macchina sia solo un mezzo. Non vogliamo evidenziare un tipo di rapporto, che comunque nella società è presente, che lega l’essere umano alla macchina, ma vogliamo utilizzare le macchine in modo che le nostre idee artistiche e musicali vengano espresse al meglio.

Da dove prendete le voci. Vecchie documentazioni, documentari, film, teatro oppure le andate a scovare per conto vostro senza ricorrere ad archivi precostituiti?

Il digging alla ricerca di campioni vocali per questo disco ha seguito un approccio abbastanza instintivo, seguendo principalmente il nostro gusto. In futuro potrebbe prendere una direzione decisamente più narrativa, staremo a vedere.

Avete mai “provocato” qualcosa, per ottenere un risultato?

Principalmente nelle collaborazioni. Un esempio è N.O.E. il cui testo è stato scritto da Matteo D’Angelo, sul concetto di adattarsi, come organismi, alle situazioni in cui si è immersi. Questo “adattarsi” si è trasformato nella narrazione di una evoluzione personale, nella metafora del cambio della pelle, pur di sopravvivere alla vita di tutti i giorni. Questo spunto ci ha poi fatto andare avanti anche nella simbologia di questo album, in cui proprio un camaleonte fa da protagonista.

E prima di tutto questo, dove risiede la scrittura? Ovvero come nasce un vostro brano? C’è architettura oppure nasce come una Jam tra campionatore e strumenti?

Solitamente c’è una prima fase di composizione abbastanza “personale”; ognuno di noi butta giù delle idee, che possono essere un beat, una melodia o un campionamento particolare. Ognuno di noi filtra il proprio lavoro ne propone una parte all’altro, segue quindi una fase di arrangiamento e di scrittura del brano vero e proprio. Per questo disco ci siamo poi rinchiusi per un mese al 360 Music Factory insieme ad Andrea Pachetti, con cui abbiamo completato la produzione del disco.

Form Follows – Fire feat. Hymenia – Dir: Cecilia Lentini

Una certa idea di fisicità arriva dal video di “Fire” realizzato dalla visual designer Cecilia Lentini, rispetto ai precedenti due video, tradizionalmente narrativi, questo segue molto più da vicino le metamorfosi della vostra musica. Come avete collaborato con Cecilia?

Abbiamo conosciuto il lavoro di Cecilia grazie a Elena Fiorini, la ragazza che ha cantato in Fire (nonchè protagonista del videoclip). I suoi lavori ci hanno da subito colpito, proprio perché differenti dai lavori che avevamo precedentemente realizzato a livello di video. La collaborazione poi è avvenuta a distanza, tra Livorno e Amsterdam; abbiamo fatto un po’ di chiamate su skype e messaggi per definire il soggetto del video, ma abbiamo lasciato a Cecilia abbastanza libertà. Il risultato a quanto pare ha funzionato!

Rock contest, premi e cotillons. Al di là della fama del concorso fiorentino, ci ha colpito, soprattutto negli ultimi anni, la crescente qualità delle proposte e la rete di connessioni che la kermesse di Controradio è in grado di mettere insieme per gli artisti. Voi perché ci siete e cosa vi aspettate?  

Noi ci siamo sia per l’opportunità che questo contest può dare, dai premi dei finalisti alla visibilità che si viene a creare partecipando alle selezioni, sia come tappa conclusiva del nostro tour di quest’anno. Siamo infatti felici di chiudere questo anno con concerti su bei palchi come quello del Combo e speriamo della Flog.

La scheda dei Form Follows su Rock Contest 2017, sito ufficiale

Form Follows – Waiting (in the park) – Dir: Carlo Turchi

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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